La Nuova Sardegna

I mille volti di Maria Lai

di Giacomo Mameli

A Ulassai venti fotografi espongono i loro ritratti della grande artista ogliastrina

13 luglio 2017
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ULASSAI. Adesso anche in casa, anzi, sotto casa. A Ulassai, il paese protetto dalle montagne legate alle case. A Ulassai dopo la Biennale di Venezia e dopo Documenta di Kassel in Germania, dopo la mostra ad Atene e i due stand allestiti alla Fiera di Basilea. Esposizioni in corso a Berlino e New York. Funzionari della Tape Gallery di Londra saranno a giorni a Cardedu, nella casa sotto il nuraghe dove viveva con la sorella Giuliana, laboratorio d'arte di Maria Lai davanti a filari di vite e al blu del mar Tirreno. Gli inglesi vogliono consultare l'Archivio Storico e vedere le opere dell'artista morta nell'aprile di quattro anni fa per farla rivivere OltreManica, in uno dei templi mondiali dell'arte contemporanea. Più passa il tempo e più Maria Lai diventa un mito parlando al mondo con i suoi fili e le sue caprette.

Una “scoperta” in crescendo, post mortem, come per tutti i grandi sardi, da Grazia Deledda ad Antonio Gramsci, da Salvatore Satta a Giulio Angioni, da Costantino Nivola a Pinuccio Sciola. A Palazzo di Città di Cagliari l'artista di San Sperate, quello che ha dato voce alle pietre, parla col suo Cristo. Vicino – per suggellare il misticismo – c'è la Sindone, una delle più geniali creazioni dell'artista che sapeva«tenere per mano il sole» e «parlare con un Dio che non conosco». Il sole sta per tramontare dietro le cupole in calcare di Monte Chidoi e le guglie di Ulassai, illumina ancora punta Trìcoli di Lanusei e Baccu Nieddu di Gairo, la vallata del rio Pardu è già in penombra, scende la sera anche su Jerzu. Quassù, alla Stazione dell'Arte, sotto un cielo pulitissimo, davanti a sughere millenarie, Maria Lai è celebrata di nuovo anche nel suo paese natale. Ricordata, ritratta con le opere di venti fotografi, esposte in ordine temporale, dal 1987 (scatto di Renato Tore) al 2011 (Gianluca Vassallo), tutti sponsorizzati dal mecenatismo delle Vigne Surrau di Arzachena. Opere che qui resteranno ad arricchire una delle poche calamite artistiche in Ogliastra. Tanta gente, tanti fotografi, il sindaco Gianluigi Serra e i due guru della mostra, quelli che l'hanno voluta con tutte le loro forze, per rendere a Maria Lai gli onori dovuti anche fra i tacchi: fra tutti il patriarca vivente dei fotografi Tore Ligios e la storica dell'arte Sonia Borsato che parla dolcemente di estetica e di etica, cita Roland Barthes e Italo Calvino, e mal sopporta “il brusio” di chi è in sala e blatera di chissà cosa.

Borsato sottolinea «il senso di tenera riverenza», indica le fotografie e così «scorrono immagini di Maria tra le donne di paese vicino al Lavatoio, donne velate e vestite di nero, così diverse da lei eppure nate dalla stessa terra». Riecco Maria Lai, col suo sorriso loquace, conversando con Nivola che sembra allo stesso Zygmunt Bauman o Ingmar Bergman degli ultimi anni di vita (l'immagine è stupenda, sfocata ad arte). Parla Maria e ascoltano Pietro Soddu e Marco Magnani, Giuliana Altea ed Ermanno Leinardi, è col regista Giampietro Orrù a discutere del progetto Naschimenta. Riappare con Daniela Zedda mentre si cimenta nell'antico gioco dello spago fra le dite delle mani, gioco amato anche nei giorni 2.0. L'ultima immagine di Vassallo sembra chiudere un ciclo vitale, il volto di Maria è una Sindone, una Sindone in bianco e nero, c'è l'alfa e l'omega, le sue visioni, i suoi tormenti perché - diceva - «ciò che scrivo non insegna niente a nessuno, prima che agli altri vorrei arrivare a me stessa».

Tore Ligios sottolinea che questa mostra (resterà aperta fino ad ottobre per poi essere ospitata da Surrau) è «un omaggio a Maria Lai. E non ha pretese celebrative ma, parafrasando una citazione che Maria ripeteva con passione ed è riferita a Salvatore Cambosu, le fotografie (al posto delle parole) sono come il miele delle api: destinato a diventare cibo per tutti». Ed è ancora Ligios a evocare il valore della «fotografia autoriale per offrire elementi utili alla classe intellettuale e politica per sollecitare attenzione verso l'ambito commerciale e culturale di un settore praticamente invisibile e trascurato». Il recupero di queste fotografie ha del miracoloso «in una Sardegna dove la pratica fotografica si sviluppa ancora a pascolo brado». Un miracolo, anche perché Maria Lai poco amava essere ripresa. «Così – conclude Ligios – si è potuto documentare il dialogo continuo che nel tempo l'artista ha intrecciato con autori che documentando i suoi lavori ne hanno favorito la diffusione e la circolazione». Sì, da Ulassai a New York, da Venezia a Basilea. Dalla Sardegna al mondo. In nome di Maria.

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