La Nuova Sardegna

“Nel nome del pane”, festa in cucina e antichi saperi

di Michela Cuccu

Oggi a Ortacesus in tutti i forni del paese si cuocerà il pane come una volta Al Museo del grano, invece, un convegno con l’assessora Barbara Argiolas 

14 luglio 2017
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ORTACESUS. Daniele, la guida del museo, ha rinfrescato “su frammentu”: ha aggiunto semola e acqua e coperto con un panno, non prima di aver inciso una croce sul dorso dell'impasto. Ne servirà parecchio di lievito madre, sabato al Museo del grano, che da tre anni ospita «Nel nome del pane», una giornata di festa che, organizzata dalla pro loco, punta a far riscoprire la tradizione, la bontà e la sacralità dell'alimento principale della dieta mediterranea. Domani sera accenderanno l’antico forno a legna per cuocere il pane che al tramonto, sarà distribuito fra tutti coloro vorranno unirsi a una manifestazione che è anche il riproporre di un rito comunitario: spezzare il pane, appunto.

Al Museo del grano, realizzato all'interno di Casa Serra, una antica dimora padronale che sorge al centro del paese, il pane lo fanno ogni volta che arriva una comitiva di visitatori. Daniele e i suoi colleghi della cooperativa Su Corongiu ripropongono un rito comune fino a poco tempo fa, quando, il pane, si faceva in casa con la semola di grano duro (in Sardegna non si è mai coltivato il grano tenero) e con lo stesso lievito custodito per generazioni in ogni famiglia. Lievito prezioso come l'oro, che mai poteva mancare dal corredo di una sposa.

Ne servirà parecchio di lievito madre, oggi al Museo, che dopo un convegno (alle 12) dove sono attesi l'assessore regionale al turismo, Barbara Argiolas; Salvatore Sestu presidente regionale dell’Unpli; Gerardo Piras tecnico di Laore, esperto di panificazione tradizionale e l'editore sassarese Carlo Delfino, che all’arte della panificazione sarda ha dedicato una delle più complete pubblicazioni finora in commercio. Chi vorrà potrà unirsi a impastare, spiegano i gestori del museo che nei loggiati della casa campidanese hanno allestito laboratori sulle tecniche di lievitazione naturale, la preparazione degli impasti e la confezione de “su pani pintau”, i pani forgiati come gioielli che non mancano mai sulle mense delle grandi occasioni e spiccano nei cesti degli offertori in chiesa. Assieme al pane, la sera saranno offerti altri piatti della cucina povera del territorio: la fregola col sugo e la carne di pecora bollita, ma anche qualche dolce di mandorle, perché una festa in Sardegna, non è tale senza almeno “unu gueffu”.

Il Museo del grano è un gioiello per pochi: distante dagli itinerari classici del turismo che in Sardegna porta principalmente verso il mare e troppo raramente nelle zone interne come questo angolo di Campidano che si chiama Trexenta (da trecento villaggi, tanti ne censirono nel Medioevo) e che un tempo era il granaio di Roma, dove chi osava piantare un albero sottraendo terreno prezioso al frumento, veniva giustiziato nella croce di sant’Andrea.

Il Comune su un progetto scientifico curato dall'antropologo Giulio Angioni, ha fatto realizzare quella che attualmente è considerata forse la più ricca collezione, nel Mediterraneo, di attrezzature legate alla cerealicoltura. C'è l'antica macina asinaria, chiamata così perché prima dell'avvento dei motori elettrici veniva azionate da un asino costretto a girare in tondo fin quasi allo sfinimento. Ci sono i carri e i calessi, la cucina antica, perfettamente ricostruita persino nelle suppellettili e poi, la “stanza degli uomini” con gli attrezzi della campagna e quella delle donne, con i setacci, i cesti e le spianatoie. In “sa stanza bona”, la più preziosa, troneggia un enorme telaio ancora perfettamente funzionante: a Ortacesus ogni famiglia ne aveva almeno uno.

Nessun particolare è stato trascurato nella ricostruzione della casa del latifondista: non mancano gli animali da cortile: le galline, le capre (in Sardegna ogni famiglia ne teneva una per il latte dei neonati) e il gatto, che sono anche i comunicatori social del Museo, attraverso la seguitissima pagina Facebook “C’era una volta Rocco di Ortacesus” dal nome del gattino mascotte, morto qualche mese fa, suscitando la commozione di migliaia di followers di ogni angolo del mondo. Ma questa, è un’altra storia.



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