La Nuova Sardegna

Favino, un talento eclettico: «Al pubblico si deve rispetto»

di Giandomenico Mele
Favino, un talento eclettico: «Al pubblico si deve rispetto»

L’attore romano ospite d’onore al Festival di Tavolara con “Moglie e marito” «Siamo un Paese poco vitale, ma restiamo sempre pieni di inventiva e creatività»

24 luglio 2017
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OLBIA. «Molti mi confondono con Alessandro Gassman. Ma una delle situazioni più sorprendenti mi capitò a Taormina per i Nastri d’argento, quando un signore mi disse “ma lei…lei è Vittorio…Vittorio Gassman!». E io: «Eh non proprio, io sono Pierfrancesco Favino e devo darle una cattiva notizia…». Pierfrancesco Favino è forse il paradigma dell’attore nella sua evoluzione contemporanea, l’abbagliante epigono di una generazione figlia di un’altra irripetibile. Ospite d’onore al Festival del cinema di Tavolara, dove ha presentato il film “Moglie e marito” di Simone Godano, usa un’ironia mista a repertorio da commediante consumato.

Neanche a farlo apposta, Favino condividerà proprio con Alessandro Gassman, oltre che Stefano Accorsi, Stefania Sandrelli e Massimo Ghini, il set de “L’isola che non c’è”, il film che Gabriele Muccino inizierà a girare a settembre a Ischia. Da un’isola all’altra, riavvolgendo un filo che conduce Favino a “L’ultimo bacio”, il film che nel 2001 lo fece conoscere al grande pubblico. In “Moglie e marito” Favino è un neurologo che, nel mezzo di una ricerca scientifica, per errore entra nel corpo della moglie Kasia Smutniak. «Niente di più facile per me, non dico di capire le donne, ma certo le conosco». Quasi inevitabile per uno che ha una compagna (l’attrice Anna Ferzetti), due figlie, tre sorelle, una suocera e anche un cane femmina. «Credo sia una commedia che sa parlare delle relazioni di coppia – spiega Favino –. Siamo felici perché ha avuto successo in una stagione comunque difficile per il cinema italiano». La scelta di generi diversi sembra aver lasciato il posto a un momento più riflessivo, cercando una coerenza sempre originale. Pensi al personaggio del “Libanese” in “Romanzo criminale”, ruolo sul quale altri avrebbero lucrato per una carriera. Ma nel mentre era stato Bartali per la tv. Senza fermarsi.

«Faccio questo mestiere sempre di più per il pubblico, credo sia un percorso di onestà verso te stesso, lasciando agli spettatori la possibilità di vedere quello che vuole in te, senza imporre per forza la tua visione delle cose – sottolinea –. Certo, nel 2006 interpretai due eroi diversi, nel senso di protagonisti di una storia, ma già da prima non mi è mai piaciuto fare lo stesso ruolo. Io lo chiamo rispetto per il pubblico». La sua valutazione del cinema italiano è lucida e severa, nata da una domanda sul ruolo che molti suoi colleghi gli riconoscono come simbolo di una generazione di eclettici che sembra raccogliere il testimone dei vari Gassman (padre), Manfredi, Tognazzi, Mastroianni. «Credo che il lascito sia di un’intera generazione del cinema, oltre gli attori anche registi, sceneggiatori, direttori della fotografia, produttori – incalza –. Credo che il cinema rispecchi lo stato del Paese e il risultato è questo. Se Kim Rossi Stuart avesse avuto Fellini, sarebbe stato il Mastroianni di oggi. Prima un film lo scrivevano quattro o cinque sceneggiatori, oggi abbiamo autori che sono anche registi, produttori, direttori della fotografia».

Nonostante questo il talento non manca. Basta coltivarlo. Favino è anche insegnante della Scuola di Formazione del Mestiere dell'Attore "L'Oltrarno" di Firenze, oltre che tra i fondatori dell’Actor’s Center di Roma. «Mi sento parte integrante del cinema italiano, quindi se la qualità è poca dipende anche da me. Siamo un paese poco vitale, ma restiamo pieni di inventiva e creatività – conferma –. Mi fa sorridere il paragone con il cinema estero. Con i soldi necessari a girare un film negli Stati Uniti, noi ne giriamo venti». Resta un filo di rammarico: «Non credo di aver ancora interpretato un ruolo capace davvero di consacrarmi. Vorrei fare l’attore per un grande ruolo, trovare un regista che mi faccia scoprire cose di me che non so, entrare in un territorio nuovo». L’aspirazione che diventa ispirazione.

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