La Nuova Sardegna

«La mia musica, nel segno di De André»

di Grazia Brundu

Dopo il concerto insieme con Carmen Consoli a Riola Sardo, Chiara Effe prepara il nuovo album: “Via Giardini”

24 luglio 2017
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È tra i finalisti del Premio Fabrizio De Andrè, e in attesa del verdetto (a settembre) riempie l’estate di musica e incontri. Non conosce la noia, Chiara Effe, cantautrice cagliaritana dall’anima swing, la passione per le sonorità del Brasile e l’attenzione per le storie che le vivono accanto. Insegna musica ai bambini, legge almeno un libro alla settimana, studia canto jazz al Conservatorio, riempie quaderni di appunti e canzoni; durante le feste si diverte a suonare con la sua famiglia, dove, assicura, «strimpellano tutti». E poi va alle mostre in giro per l’Italia, suona «a cappello» nelle case di chi la chiama per una serata in salotto o in terrazza. Ha diviso il palco con Carmen Consoli nel concerto al Parco della musica di Riola delle scorsa settimana.

Allora, Chiara, iniziamo dalla “cantantessa”, che venerdì arriva al Parco dei Suoni di Riola Sardo. Che effetto fa aprire il suo concerto?

«Bello, adoro Carmen Consoli e la seguo da quando ero ragazzina. Mi piace la sua musica, apprezzo tanto la sua forza, la sua coerenza, il fatto che ha sempre scritto per il sociale. Ha valorizzato tantissimo la sua terra, perché tanti dei brani che ha fatto avevano un’impronta siciliana fortissima».

Cosa le ha detto?

«“Ciao, ti ricordi di me? Sono quella con cui hai preso un caffè”. È successo ad aprile, dopo un incontro con gli studenti del conservatorio di Cagliari. Abbiamo parlato per un’ora: io le ho fatto un sacco di domande e lei ha voluto sapere se anche io scrivo canzoni».

Poi c’è Stefano Benni, che il mercoledì 26 sarà al festival “Cuncambias” di San Sperate. Come mai ha deciso di scrivere due brani ispirati al suo romanzo “Prendiluna”?

«Benni è uno dei miei eroi, il mio scrittore italiano preferito, e non è la prima volta che i suoi libri mi ispirano. Però questa è un’occasione speciale per incontrarlo, d’estate passa tanto tempo in Sardegna. Mi piacciono i suoi romanzi, i racconti, le poesie che ricordano un po’ la forma canzone, e in generale il suo modo di scrivere musicale. I libri per me sono una fonte di ispirazione, più dei dischi, mi lascio catturare dalla capacità dello scrittore di aprirmi un mondo attraverso un dettaglio. Mia nonna mi ha sempre detto che bisogna leggere, e anche io nei laboratori musicali lo ripeto sempre ai bambini che vogliono imparare a scrivere canzoni».

Tra i suoi autori preferiti c’è Sergio Atzeni, cagliaritano come lei: ha influenzato la sua musica?

«Sì, nel mio primo disco, “Via Aquilone”, la canzone “Tra terra e cielo” riprende un’immagine di “L’ultimo passo è l’addio”: Cagliari, in particolare via Roma, vista da una nave, quando si parte o si torna in città. Sergio Atzeni scriveva piccole storie di piccole persone, quelle che a uno sguardo distratto non sembrano avere niente di speciale. Io provo a fare la stessa cosa».

Cagliari avrà un ruolo centrale anche nel nuovo disco? E a proposito, quando uscirà?

«Certo, Cagliari c’è sempre, fin dal titolo: “Via Giardini”».

Un’altra via? Il primo si intitolava “Via Aquilone”.

«È vero, i miei amici mi prendono in giro: dicono che quando farò una raccolta la chiamerò “Tuttocittà”. Comunque ho già scritto tutte le canzoni, anzi sono troppe e dovrò fare un lavoro di scrematura. Io non scrivo in funzione del disco, ma della mia vita; poi il disco diventa un po’ la fotografia del momento che sto vivendo. Spero di farlo uscire entro la fine di quest’anno».

Ci descrive “Via Giardini”, cosa proviamo a immaginare come sarà il nuovo lavoro?

«È la via dove vivono i miei genitori, e dove sono nata e cresciuta, nel quartiere di Villanova. Quando ci passi vedi finestre, porte, muri colorati e, se guardi in alto, alberi altissimi spuntano dai centri delle case, perché tutte hanno una corte interna. È un quartiere bello, pacifico, multiculturale. È sempre pieno di piante, soprattutto durante le feste dei santi. E poi, cosa sempre più rara per Cagliari, i bambini giocano ancora nelle piazze».

Quelle che racconta sono tutte storie che conosce da vicino?

«Sì, sono sempre vere, anche se non sempre vissute da me. Il mio cantautore preferito è Fabrizio De André, e lui faceva proprio questo: raccontava degli altri. Io ho fatto studi di antropologia e ho imparato a stare, diciamo, nell’angolo, per cercare di osservare al meglio tutto ciò che mi accade davanti, e poi anche toccarlo con mano. Non dimentico mai da dove vengo, che colori, che odori ha la mia città. È una cosa che ho imparato da bambina, da mio nonno e dalla mia maestra, a loro devo il mio modo di essere».

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