La Nuova Sardegna

Amori da spiaggia con risvolto di sangue

di Alessandro Marongiu
Amori da spiaggia con risvolto di sangue

Da oggi in edicola “La rena dopo la risacca” di Giuseppe Tirotto

28 luglio 2017
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Si dice comunemente che quella che segue il diploma sia una delle estati più belle di tutta la vita, se non, addirittura, la più bella in assoluto. Per chi ha scelto di andare all’università, le vacanze post-maturità saranno le più lunghe della carriera da studente, mentre per chi ha preferito cambiare rotta, iniziare a lavorare può significare il tanto sospirato principio di indipendenza. Al di là delle differenze del caso, però, lasciarsi alle spalle le scuole superiori rappresenta in generale il primo passo nel mondo degli adulti, e cioè nel mondo “vero”, quello delle responsabilità, degli impegni e del margine per gli errori e i dietrofront che si assottiglierà via via drasticamente fin quasi a scomparire.

Quando facciamo la sua conoscenza, Antonio Matta, il protagonista di “La rena dopo la risacca” di Giuseppe Tirotto, da oggi in edicola con La Nuova Sardegna per la collana “Maestri sardi del giallo”, sta vivendo proprio la sua estate più bella. Dopo aver chiuso con professori, compiti in classe e campanelle, si gode senza pensieri il sole e il mare della cittadina in cui vive, trovandosi ogni giorno con gli amici di sempre e con quelli “di fuori”, i forestieri che anno dopo anno tornano in Sardegna per trascorrere le ferie al seguito dei genitori. Per Antonio, poi, c’è un di più che certo non dispiace: Chiara, la più desiderata del gruppo, pare snobbare le attenzioni degli altri ragazzi e avere occhi solo per lui. C’è insomma di che esser felici, almeno fino a quando in spiaggia fa la sua comparsa una combriccola che di sicuro non passa inosservata.

Siamo negli anni Settanta, e le differenze di classe sono ancora forti: esibirle, anche al mare, equivale a far capire ci si è. E chi comanda. Ecco allora che le due donne e i tre quattro ragazzini portati lì da un granitico autista su una vettura signorile, che arrivano a metà mattina ma vanno via sempre prima degli altri – anche questo serve a sottolineare la propria importanza –, si ritagliano uno spazio esclusivo e tengono alla larga quello che considerano il popolino. Donna Esmeralda, la cognata Elvira e il figlio di quest’ultima Nicola, del resto, sono membri dei Plantanos: della famiglia che, da secoli, è padrona di quei luoghi. Così quando Elvira, vedova, bellissima e molto chiacchierata, avvicina Antonio, cercando ripetutamente il contatto con lui e spesso in maniera plateale, le voci fan presto a circolare. Cosa potrà mai volere una tipa simile da uno come Antonio? E per quale motivo, con tanti maschi pronti a esaudirne ogni capriccio e volontà, s’è intestardita su di lui?

Antonio, che dovrebbe essere il primo, è invece l’ultimo a porsi tali questioni. Gli ci vuol poco per perdere del tutto la bussola, ammaliato com’è dalla sinuosa ventottenne e lusingato da quell’imprevedibile interesse nei suoi confronti – un interesse cui si unisce una sconfinata gratitudine quando il giovane si tuffa in acqua per salvare Nicola e un amichetto, trascinati a largo dalla corrente e a rischio affogamento. All’eroe del giorno il gesto coraggioso vale perfino un invito a casa Plantanos da parte dell’austera Donna Esmeralda, la capoclan: e pazienza se ciò implica il dover viaggiare in macchina con Tino, l’odioso ex carabiniere riconvertitosi in autista. Certo di amare Elvira e ritenendo di esserne ricambiato, Antonio comincia a questo punto a vagheggiare un rapporto con lei vissuto alla luce del sole e in barba alle convenienze sociali.

Ma, intanto, la visita nella palazzina della ricca famiglia lo mette di fronte a una realtà che non immaginava: i Plantanos sono letteralmente dilaniati da odi e dissapori interni, tra figli illegittimi che reclamano la loro parte, governanti che covano rancore, accuse di violenze fisiche e recriminazioni di vario genere. Al centro del poco idilliaco quadro c’è, manco a dirlo, Elvira, la quale, dopo aver lanciato più e più ami tira definitivamente a sé Antonio e svela le sue carte: gli darà ciò che desidera a patto che porti a termine un diabolico piano criminale a suo vantaggio. Il personaggio principale ha poche armi da opporre alla richiesta, ché della sua età ha anche il tratto tipico dell’ingenuità derivante da una scarsa esperienza delle cose del mondo. Ci casca con entrambi i piedi, a farla breve, mettendo a repentaglio tutto il suo avvenire per la promessa d’amore e di piacere della maliarda.

Nella figura della spietata femme fatale, che usa le doti seduttorie per piegare al proprio volere uno o più malcapitati, e nella presenza di caratteri volutamente ambigui e che possono rivelarsi l’esatto contrario di ciò che appaiono, si rintracciano gli elementi di tangenza tra “La rena dopo la risacca” e il noir. Quello di Tirotto, uscito in origine nel 2004 per l’editore cagliaritano Aipsa, è a modo suo anche un romanzo di formazione, con un’introduzione alla vita adulta per il protagonista che, battezzata nel segno delle peggiori manifestazioni dell’animo umano e nel sangue, si può a buona ragione definire traumatica. Dopo tre opere di narrativa in sardo-corso, per l’autore di Castelsardo questa è stata la prima prova in italiano – un italiano, come il lettore avrà modo di constatare, comunque ricco di interferenze dialettali.

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