La Nuova Sardegna

L’estate di Ulisse Mele Un duro ingresso nel mondo degli adulti

di Alessandro Marongiu
L’estate di Ulisse Mele Un duro ingresso nel mondo degli adulti

Da oggi in edicola con La Nuova il romanzo di Roberto Alba  La voce ingenua di un ragazzino racconta la crudeltà

04 agosto 2017
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Puntuali come il raglio dell’asino Superman, ogni ventiquattro ore per Dede e Betta arrivano le cinghiate di papà Alfio. «Sono come le stelle cadenti, lasciano sempre una scia di dolore lunga giorni, a volte settimane» ci dice Ulisse, il piccolo di casa Mele, nonché voce narrante per i lettori. Nessuno dei due fratelli pare aver voglia di studiare e Alfio non ha molti altri argomenti per suggerire un’inversione di tendenza, neanche a Dede, che magari la voglia l’avrebbe ma semplicemente non può far meglio di quanto fa, essendo dislessico «e anche qualcos’altro».

Una volta mamma Lia è andata alla polizia per denunciare le violenze domestiche, ma ha conseguito un unico risultato: le stelle cadenti sono passate anche dalle sue parti. Ugualmente puntuali arrivano poi, pur se a cadenza annuale, lo zio per parte materna Tonino, la di lui moglie Elysia, esotica e bellissima, e i loro gemelli, Ivan e Leò, coetanei di Ulisse. Il gioco dell’estate, di ogni estate, per la famiglia riunita è sempre lo stesso: «facciamo il bagno nella grande vasca dell’orto vicino al campo dei girasoli, dietro la vigna: la vasca è fatta di cemento, è lunga dieci passi ed è alta da terra come le mie gambe ma dentro è profonda che non si tocca. Mio padre la riempie con l’acqua del pozzo tirata su da una specie di mulino a vento inventato da mio nonno».

La vasca serve per irrigare l’orto e il frutteto, senza dubbio, ma i Mele abitano sulla cima di una collina a qualche chilometro da Dolianova, e il mare dista un’ora: si fa prima ad adattarla con un po’ di immaginazione a piscina, e specie i ragazzini hanno di che gioire. Poi un luglio, quando Tonino e i suoi stanno per raggiungere la Sardegna dal Lazio in cui vivono, succede qualcosa. Una mattina presto Betta e Dede escono di nascosto per andare al mare, quello vero, insieme al fidanzato di Betta Giovanni, ma Dede cade, si ferisce e torna indietro. La coppia invece procede, solo che a fine giornata Betta non rientra a casa. E così nei giorni che seguono. L’angoscia che assale i Mele e i quattro parenti ospiti diventa dramma quando il suo corpo viene ritrovato: proprio sul fondo della vasca che fino a quel momento aveva significato estate, cugini con cui giocare, spensieratezza. La stessa vasca che ha distribuito acqua alla terra circostante e regalato vita per lungo tempo, adesso è giaciglio di morte, per Betta in senso letterale, per i Mele come famiglia in senso figurato.

Per Ulisse, che è riuscito a non fare del suo essere sordo e muto un problema e che dalla prima infanzia ha mostrato un’intelligenza ben oltre la media, l’impatto con il mondo degli adulti è il più terribile: «“Qual è la verità?” Non rispose: era intento a guidare, a evitare quella folla, a suonare il clacson e ad agitarsi in malo modo contro i curiosi. Tirava fuori il braccio dal finestrino e diceva cose che non ho potuto capire, ma non dovevano essere molto carine. “Quale è la verità?” chiesi ancora. “Basta!” urlò. “Betta è morta. Hai capito? Betta è morta. Tua sorella non c’è più!” gridò fortissimo, lo capii dalla faccia e dal colpo che diede al volante».

E se anche lui cerca di conservare uno sguardo innocente e trasognato sulla realtà – «Io non feci più nessuna domanda e lui rimase zitto fino a casa: i grandi sono così, sembrano coraggiosi, invece sono dei bambini travestiti da adulti, con una testa più grossa» –, quello sguardo l’ha ormai già perso, senza neanche essersene reso conto. Anche perché il mondo nuovo a cui appartiene, quello degli adulti, non gli risparmia ulteriori brutture: indagato per l’omicidio è Giovanni, ma subito dopo di lui addirittura sarà Alfio, che passerà un periodo in prigione; Dede, mandato in collegio a Cagliari, scappa e fa smarrire le sue tracce, aumentando il dolore e il tormento dei tre membri restanti dei Mele; il matrimonio tra Tonino e Elysia, ai quali Ulisse è stato affidato per qualche settimana prima della fuga di Dede, è destinato ad andare in pezzi.

Eppure, nonostante le vicende che lo contraddistinguono, “L’estate di Ulisse Mele” di Roberto Alba, da oggi in edicola con La Nuova Sardegna per la collana “Maestri sardi del giallo”, non si può definire un romanzo cupo. La scelta di attribuire il ruolo di narratore a Ulisse in questo senso è stata decisiva perché la sua voce, vispa quanto ancora inevitabilmente ingenua, è capace di smorzare la tragicità degli eventi e di suscitare anche il sorriso, quando non proprio il riso; inoltre, un punto di vista così particolare per una storia gialla di tale natura mette al riparo chi legge dai canovacci logori di tanta narrativa contemporanea di detection, attorcigliata sui medesimi caratteri ricorrenti e stantii.

Nelle pagine di Alba non ci sono commissari che la spuntano sempre, personaggi secondari simili a macchiette, pretese socio-antropologiche dietro trame qualunque: c’è piuttosto il racconto, plausibile, di come l’esistenza di un’intera famiglia possa andare in pezzi sotto i colpi di eventi che uno spera di poter conoscere sempre e soltanto attraverso, al massimo, lo schermo di un televisore. E il racconto di una crudele introduzione alla vita: che la vita la indirizza verso sentieri tortuosi, ma non la spegne.

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