La Nuova Sardegna

Omar Sosa e Gustavo Ovalles esaltano il pubblico di Dromos

di Andrea Musio

Grande successo del live con il pianista cubano e il percussionista venezuelano I due: «Con la nostra musica e vestiti di bianco professiamo pace e fratellanza»

07 agosto 2017
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SAN VERO MILIS. Facile perdersi nella musica quando questa è concepita e suonata da due persone la cui spiritualità è prorompente. Omar Sosa e Gustavo Ovalles, superstar del pianoforte il primo e acrobata delle percussioni il secondo. Una spiritualità non religiosa dichiarata a più riprese. Lo fanno a partire dal titolo dell’album che li ha visti registrare insieme ben quattordici anni fa ed eseguiti sabato sera per Dromos. Quel disco “Ayaguna”, una dichiarazione di intenti. «È dedicato al Dio della Santeria», spiega Sosa dal palco. «Anche noi come lui – prosegue – professiamo la pace e la fratellanza e questo è rappresentato anche dagli abiti bianchi che indossiamo sempre». Un fiume in piena, la musica dei due musicisti sul palco. Il pianoforte jazz si fonde con la musica cubana, terra d’origine di Omar Sosa, e le percussioni venezuelane di Gustavo Ovalles accompagnano e guidano allo stesso tempo. Un corso d’acqua a tratti tumultuoso per trasportare grande energia e, a momenti, calmo nella sua discesa con le emozioni e la dolcezza rassicurante della musica che sembra vogliano accarezzare gli ascoltatori. Un concerto in grado di commuovere. Impeccabili dal punto di vista tecnico e inimitabili da quello della presenza scenica. Una fusione che non lascia margini visibili.

Spettacolari momenti di improvvisazione in cui Sosa e Ovalles sembrano divertirsi più del pubblico che ha gremito il giardino dell’ex cimitero, sapientemente riutilizzato e adattato come area museale. Un folto numero di aficionados degno delle più celebri rockstar. «Prima di arrivare in Sardegna, cercavo di spiegare a Gustavo che questa per me è una seconda casa. Lui non era molto convinto. Gli ho detto come sa partecipare il pubblico sardo. Credo che ora ha capito e mi dà ragione». Una anticipazione sincera perché non si contano le volte in cui il pianista cubano si è esibito nell’isola, in diverse formazioni e registrando, ben tre dischi, insieme al trombettista di Berchidda Paolo Fresu. Non poteva certo mancare uno dei brani più toccanti di questo sodalizio tra la Sardegna e Cuba. “Alma” tocca l’anima.

Nonostante i problemi logistici dovuti al trasporto in aereo degli strumenti, il percussionista venezuelano è riuscito a portare con sé una lunga serie di percussioni. Quelle originali della tradizione venezuelana e cubana frutto di una ricerca iniziata appena finiti gli studi nel conservatorio di Caracas e durata anni. Una minuziosa caccia al tesoro che lo ha portato nei luoghi più remoti del paese ed imparare l’arte dell'utilizzo da grandi Maestri e da gli abitanti dei villaggi che ne tramandano la tecnica da centinaia d’anni.

Uno spettacolo nello spettacolo con le maracas, ed ancora quitiplas, bata e fra i tanti, l’incredibile “tecnologia” arcaica del culo e puya. «Il suono di questo incredibile strumento – spiega Sosa – è in grado di trasmettere l'energia della connessione tra le radici delle nostre terre e la natura». Di notevole impatto le incursioni nell’elettronica con campionatori effetti e sintetizzatori inseriti ad arte per unire tradizione e modernità senza sminuire lo stile, sempre su alti livelli, né tanto meno snaturare gli intenti. “Amore” ripetuto quasi come un mantra, quando i due abbandonano il palco con il pubblico in visibilio.

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