La Nuova Sardegna

«In ognuno di noi c’è tanta Deledda»

di Paolo Curreli
«In ognuno di noi c’è tanta Deledda»

Sul palco di Ulassai Michela Murgia attrice in “Quasi Grazia”

09 agosto 2017
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INVIATO a ULASSAI. Lunedì Michela Murgia, al festival dei Tacchi è salita per la prima volta sul palco – allestito alla stazione dell’Arte di Ulassai – come attrice nella lettura scenica di “Quasi Grazia”. La nuova produzione di Sardegna Teatro, con la regia di Veronica Cruciani, dedicata a Grazia Deledda.

Un lavoro, tratto dall’omonimo romanzo di Marcello Fois che debutterà nella sua forma più compiuta – se i tempi verranno confermati – il 27 settembre, per il compleanno del premio Nobel, al teatro Eliseo di Nuoro.

In scena con Michela Murgia, gli attori Lia Careddu, Valentino Mannias e Marco Brinzi. Un fondale nero, quattro sedie, quattro leggii. Gli attori vestono abiti di scena essenziali. Lia Careddu la madre di Grazia, nel vestito nero della vedova nuorese, Marco Brinzi il marito “continentale” della scrittrice, in abito e cravatta, Valentino Minnias, si cambia in scena interpretando il fratello Andrea, il giornalista svedese e il medico che da la notizia della malattia mortale a Grazia. Michela Murgia è l’unica che veste i panni di se stessa, a rimarcare il ruolo di interprete e voce della Deledda e di testimone della storia sottesa che ogni spettatore intuisce e (forse) si aspetta. «Non è una biografia di Grazia Deledda. In fondo è la storia del rapporto tra la comunità e la voce narrante che la racconta – conferma Murgia a fine spettacolo –. Una esplorazione della relazione che ogni artista ha col suo pubblico».

Da questo punto di vista “Quasi Grazia” in scena assume una valenza nuova e interessante. Lasciando agli stilatori di classifiche, ai soppesatori di talenti, le differenze tra le produzioni di Deledda, Fois e Murgia, si può dire che gli artisti (veri) giocano tutti nello stesso campionato. Il coraggio di una donna del secolo scorso, che si affranca attraverso la scrittura, è interpretata da una intellettuale a cui tutto si può negare eccetto proprio il coraggio, quello che serve per capire, per stare dalla parte più scomoda (e meno redditizia) e per superare dolorose vicende personali. Fois, scrittore capace di primeggiare in diversi spazi, ma il cui rapporto necessario rimane quello col suo mando-universo: Nuoro. Ognuno è “quasi Grazia”, nel rapporto ostile che l’isola ha con chi la racconta senza false seduzioni. «Quanto talento sprecato in Enrico Costa – dice Deledda-Murgia – nella ricerca del consenso». «Di qualche like in più», ci spiegherà Michela Murgia sorridendo fuori dalla scena. Ognuno è ancora “quasi Grazia” nell’unico modo di proteggere l’amore per una madre e patria totalizzante: fuggire lontano da lei.

La scrittura scenica ruota intorno ai tre momenti fondamentali individuati da Fois nel suo libro. Il momento dell’addio alla sua casa nuorese sotto una pioggia scrosciante, manifestazione simbolica della “difficoltà” del partire. Giganteggia sul palco Lia Careddu, che rende con un iperrealismo folgorante l’idioletto delle frasi, tra il sardo e l’italiano e le posture della madre nuorese. La volontà di proteggere Grazia dalla crudeltà del perbenismo viene svelata dalla grande attrice come amore senza condizioni per la figlia. Valentino Minnias è chiamato alla difficile prova – superata – di non scadere nel macchiettistico nei panni del fratello alle prese col tribunale cittadino del tzilleri. La seconda scena è l’intervista con il giornalista svedese il giorno del Nobel, e qui Brinzi dipinge con talento l’amore di Palmiro Madesani per Grazia, un amore protettivo e solidale, a differenza di quello ossessivo della madre, che avrà il suo intenso epilogo attoriale nel momento del rilevamento della malattia nella terza scena. Brinzi-Madesani descrive con passione la determinazione di Grazia di stravolgere il mondo attraverso la scrittura, individuata da Fois nella lettura del racconto il “Cinghialetto”.

«Troppe volte Madesani è stato descritto come “il biglietto” che permise a Grazia di abbandonare Nuoro – spiega Murgia dopo lo spettacolo –. Niente di più sbagliato, fu una storia d’amore vera e intensa che superò tutto, anche la passione e i tradimenti per arrivare a una potente solidarietà». Michela Murgia è sorretta sul palco dalla volontà di essere e di credere nel testo che recita. Questa spontaneità basta per arrivare anche a momenti alti e commoventi, come il monologo sul padre di Grazia, la figura del genitore defunto che incombe su tutte le scelte di vita della famiglia, e quando Grazia scopre da bambina le poesie del padre, capisce anche che è nella fantasia la chiave per fuggire dalla prigione del ruolo di femmina che il futuro le prospetta.

I movimenti in scena sono, naturalmente, ridotti al minimo, eppure il semplice atto dell’alzarsi per andare a leggere verso il leggio assume un significato profondo. «Penso che sia una rappresentazione perfettamente simbolica del momento della lettura e quindi anche della letteratura». Confessa fuori scena Valentino Minnias. Un orologio perfetto quello costruito da Veronica Cruciani sul testo di Fois e molti spettatori a Ulassai aspettano con trepidazione l’innalzamento verso una forma più complessa, col timore che il più rovini il meglio. «È l’inizio di un progetto, non la sua conclusione – sottolinea Murgia –. Siamo un gruppo con tante idee e voglia di esplorarle». Appuntamento a settembre, quindi, per il compleanno di Grazia.

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