La Nuova Sardegna

L’Italia che va “Di padre in figlio”

di Grazia Brundu
L’Italia che va “Di padre in figlio”

Marco Lillo in Sardegna per presentare il suo libro sulle inestirpabili radici del familismo

19 agosto 2017
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SASSARI. «Sono stufo di un paese dove si lavora e si fa carriera non per ciò che si conosce ma per chi si conosce». Lo diceva Matteo Renzi, in campagna elettorale, prima di diventare presidente del Consiglio nel 2014. Era lo slogan del rottamatore duro e puro. Slogan molto ad effetto, non sempre confermato dai fatti.

Lo “scandalo Consip”, scoppiato lo scorso febbraio, è il nucleo del libro “Di padre in figlio” (PaperFirst, 302pp, 2017), presentato nei giorni scorsi alla Libreria Mondadori di Alghero dall’autore Marco Lillo, giornalista del Fatto Quotidiano. Tra gli indagati per quella vicenda di appalti miliardari c’è anche, come è noto, Tiziano Renzi, padre dell’attuale segretario del Partito e dell’allora premier. Marco Lillo e il suo giornale hanno fatto da apripista nel raccontare il ruolo che avrebbe avuto Renzi senior nel «fare pressioni sul manager della Consip, Luigi Marroni, scelto da Matteo Renzi per guidare la società che annualmente spende ottanta milioni per gestire tutti gli appalti della pubblica amministrazione. Bene, tre mesi dopo quella nomina – riassume il giornalista di Il Fatto – Tiziano Renzi si presenta da Marroni per convincerlo a favorire l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo. Quest’ultimo, in cambio di un appalto per la manutenzione dei palazzi istituzionali, avrebbe dovuto versare a Tiziano una somma di 30 mila euro. Risulta da un bigliettino dove c’è scritto “30 mila euro per T.”, che secondo i carabinieri si riferisce proprio a Renzi senior».

Il caso Consip riguarda l’attualità. Nel suo libro, però, Lillo non si ferma al presente ma risale alle radici del «familismo e del clientelismo come problema strutturale della politica italiana». Il padre (poco) nobile di questo malcostume sarebbe l’umanista del Quattrocento Leon Battista Alberti, che nei suoi “Libri della famiglia” già teorizzava «l’interesse del clan come superiore a quello dello Stato. Insomma, tanti secoli – conclude il giornalista - non sono bastati agli italiani per capire che dobbiamo cambiare rotta se vogliamo diventare un paese competitivo». In questo cambio di passo, l’informazione ha un ruolo fondamentale.

Ma non sempre facile. Per aver pubblicato notizie riservate e intercettazioni telefoniche sul “caso Consip”, Marco Lillo ha infatti subito una perquisizione della propria abitazione e gli inquirenti, alla ricerca delle fonti, gli hanno sequestrato telefonino e computer. Lillo, però, è sicuro di non aver compromesso le indagini della magistratura, perché, dice, «quelle erano già compromesse». «Il mio primo articolo sul caso – ricorda – risale al dicembre 2016, ma per ammissione di Daniele Lorenzini, medico della famiglia Renzi e sindaco di Rignano sull’Arno, di dove la famiglia è originaria, fin dai primi di ottobre Tiziano sapeva dell’indagine della Procura di Napoli e aveva paura di essere arrestato».

E poi, taglia corto, «io non sono uno scriba, non devo trascrivere le sentenze dei magistrati. Non mi interessa nemmeno stabilire se Tiziano Renzi è colpevole, mi interessano i fatti. Ho il dovere di informare la gente su come vengono spesi i soldi pubblici e su come si fanno le gare d’appalto in Italia».

Le perquisizioni a suo carico non infastidiscono Lillo. Però l’indigna l’accusa di rivelazione di segreti d’ufficio mossa dalla Procura di Roma al magistrato napoletano Henry John Woodcock, il primo ad aprire l’indagine Consip. Lillo ha sempre negato di aver ricevuto informazioni da Woodcock o dalla sua compagna, la giornalista Federica Sciarelli. Non solo, «se la procura di Roma ha chiesto l’arresto di Alfredo Romeo e il processo per il manager Consip Marco Gasparri lo dobbiamo solo a Woodcock e alla sua collega Carrano», afferma il giornalista. E conclude: «La procura di Roma ha due procedimenti aperti su Consip: uno, sull’appalto Belle Scuole da 1,6 miliardi, deriva da un abile indagine dell’Antitrust, non certo dall’abilità della Procura romana. L’altro, l’FM4 d 2,7 miliardi, si basa su elementi scoperti dalla Procura di Napoli e da Woodcock».

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