La Nuova Sardegna

“La felicità umana” secondo Maurizio Zaccaro

di Gian Mario Sias
“La felicità umana” secondo Maurizio Zaccaro

Il regista milanese ospite ad Alghero di ResPublica racconta com’è nato il suo ultimo documentario

22 agosto 2017
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ALGHERO. Una scena di pochi secondi è dedicata al papa, che a proposito dei migranti dice: «Cercavano solo la felicità». Poco dopo, in un’altra scena, alcuni militanti dell’Isis, a bordo di un pick-up, mentre si dirigono a Mosul spiegano che «la felicità non ci interessa, ci allontana da Dio». Pur scongiurando il rischio di una visione manichea e scandagliando ogni sfumatura di grigio, Maurizio Zaccaro, regista milanese, arriva a una conclusione: «Abbiamo a che fare con un esodo biblico». Ad Alghero su invito di ResPublica per presentare il suo ultimo documentario, “La felicità umana”, Zaccaro racconta come «il semplice incontro con amici, liberi pensatori, al tavolo dell’osteria, è diventato un film complesso dal punto di vista della costruzione, senza inflessioni new age». E di come «alla fine di questa ricerca non c’è una soluzione – dice chiaramente – ma c’è un punto di partenza: tutti sanno cos’è l’infelicità». La domanda alla quale Zaccaro, dopo un percorso intenso lungo una sperimentazione del tutto personale di uno stile che oggi è diventato un genere, quello della docufiction, cerca di rispondere è «cosa rende l’uomo infelice?». Lui se lo chiede e lo chiede alle persone che incontra. «La filosofia risponde solo in parte, perciò possiamo saperne di più solo informandoci su quello che viviamo», è il suo convincimento. «Penso che l’infelicità nasca soprattutto dalle nostre debolezze».

E qui la cronaca rende ancora più attuale quel suo messaggio che vorrebbe trasmettere anche alle giovani generazioni sarde, attraverso la scuola. Come fa in Lombardia grazie al progetto “Schermi di classe”. «Il film è a disposizione per tutti i cinema della Sardegna e per le scuole», dichiara Zaccaro. Perché forse quella parte del programma di storia cui non si arriva mai potrebbe essere compensata dalla visione di quello spezzone documentaristico in cui «Mussolini, dal balcone di piazza Venezia, afferma che il fascista deve vivere nel disagio», e alla considerazione, data per immagini, che «dopo settant’anni valga ancora la pena riflettere sul fatto che l’infelicità nasce soprattutto dalle nostre debolezze, dal disagio, dalla sensazione di pericolo – insiste il regista – la paura diventa chiusura, diventa razzismo».

Allora il lavoro di Maurizio Zaccaro diventa un viaggio alla ricerca del senso di quel che sta succedendo. «Tutti mi dicevano che sarebbe stato impossibile raccontare questa storia, ma sono convinto che l’argomento interessi. Mentre ci lavoravo ho girato “Adelante petroleros”, sullo sfruttamento petrolifero della foresta amazzonica equadoregna – conclude – un uomo che viveva in quelle terre si chiedeva “come potranno miei figli essere felici se non li faccio crescere come me nella foresta”. Credo che non ci sia una soluzione, ma che il tema della decrescita felice sia una lettura possibile, che rivedere le regole del libero scambio siano una buona base per lavorare alla felicità dell’uomo».

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