La Nuova Sardegna

«Racconto l’Europa vista dai migranti»

di Silvia Lutzoni
«Racconto l’Europa vista dai migranti»

Kader Abdolah, scrittore iraniano da anni cittadino olandese, ieri ad Alghero (e sabato a Cagliari) con il suo nuovo romanzo

28 agosto 2017
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ALGHERO. «Sono cresciuto nell’alveo della grande tradizione orale persiana, e mi rendo conto che, dopo aver ascoltato quelle storie dalla viva voce delle mie nonne, io stesso sono diventato un cantastorie. Anche adesso che scrivo in olandese non posso fare a meno di utilizzare lo stile che caratterizza “Le mille e una notte”». Iraniano ma residente da quasi trent’anni in Olanda, dove arrivò come rifugiato politico, Kader Abdolah è fra i più importanti intellettuali olandesi. Di recente è uscito per Iperborea il suo “Un pappagallo volò sull’Ijssel”, un romanzo corale nel quale viene narrato l’impatto che l'immigrazione ebbe sulla comunità olandese a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Ieri lo ha presentato ad Alghero, al festival “Dall’altra parte del mare”. Sabato sarà invece a Cagliari per Marina Cafè Noir.

Il personaggio principale del libro, Memed, è come lei un iraniano che ha abbandonato il suo paese d'origine per l’Olanda. Sebbene si tratti di due esperienze molto diverse, possiamo dire che Memed sia uno dei numerosi alter ego che lei inventa e pone al servizio del romanzo?

«Sono ormai più di venticinque anni che vivo in esilio. All’inizio nemmeno ipotizzavo che sarei vissuto in questa condizione così a lungo, e nemmeno immaginavo che sarei riuscito a creare tutti questi personaggi letterari: personaggi che mi sarebbe stato impossibile anche solo immaginare, se fossi rimasto nel mio paese natale. L’emigrazione ha comportato per me un enorme arricchimento che mi ha consentito di raccontare le mie storie. E sebbene Memed abbia una sua personalità ben strutturata, non posso negare che ci sia in lui anche molto del mio vissuto».

Memed finge di essere un rifugiato curdo per richiedere asilo in Olanda. In realtà è un migrante che vuole assicurare a sua figlia, gravemente malata di cuore e sordomuta, le cure migliori. Pensa che il termine “migrante” abbia subito un'evoluzione negativa rispetto al suo significato originario e che la ricerca di una vita migliore e di una dignità non siano più un motivo sufficiente per emigrare?

«I migranti sono costretti a mentire. Per raggiungere un luogo sicuro, sia esso l’Olanda o qualsiasi altro paese, qualche bugia è indispensabile. A dire il vero, non si tratta propriamente di bugie, ma di espedienti cui tutti i migranti prima o poi ricorrono per andare avanti. Quando scappi dal tuo paese vivi per un certo periodo, più o meno lungo a seconda dei casi, in una sorta di terra di nessuno che possiede regole proprie o non ne possiede affatto. Memed si serve della malattia di sua figlia affinché la sua storia possa raggiungere voi. Ma siete voi ad aver bisogno di queste storie, voi avete bisogno di molto più di un'unica e noiosa storia di un solo migrante.

Lo scorso anno nel suo intenso discorso alle Nazione Unite, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ha affermato “Disumanizziamo le persone quando le riduciamo a un’unica definizione: rifugiato o immigrato. E questa disumanizzazione è insidiosa e irresponsabile”.

«Capisco cosa intende. Ma, d’altra parte, le persone che vivono nei cosiddetti paesi sicuri, in pace e nella loro normalità, si ritrovano davanti a un fenomeno nuovo: a un certo punto milioni di stranieri arrivano a casa loro. Né io né voi disponiamo di termini diversi per definire queste persone: sono immigrati o rifugiati. Perciò posso dire che non li disumanizziamo né li semplifichiamo. Si tratta solo di un processo: loro arrivano e noi siamo sbalorditi; da questo momento cominciamo a cambiare e a capire, ma anche a fraintenderci l’un l’altro.

La lingua ha un ruolo molto importante nel processo d’integrazione, come dimostra il personaggio di Tala che, nonostante sia sordomuta, riesce immediatamente a comunicare con la comunità olandese che la accoglie. Che cos'è allora la lingua: uno strumento che permette al migrante di affermare la propria identità o è parte di quella stessa identità?

«Quando sono emigrato sapevo da cosa fuggivo ma non a che cosa andavo incontro. Ora lo so: sono arrivato qua per incontrare voi e la vostra cultura, e per avere la possibilità di costruire un nuovo me stesso. Gran parte di esso è frutto dell’incontro con l'Europa e la lingua è lo strumento attraverso cui si è costituito. Questo nuovo me stesso è tanto più straordinario quanto maggiore è lo sforzo, l'energia, l'impegno che si impiegano nella conoscenza della nuova lingua».

Qual è il ruolo degli intellettuali oggi?

«Quello di mostrare i nuovi scenari. L’Europa è cambiata e lo sono anche l’Olanda e l’Italia. L’intellettuale ha il dovere di raccontare questi cambiamenti nei suoi romanzi. Forse non potrà scrivere un giallo avvincente, ma potrà scrivere un romanzo come “Un pappagallo volò sull'Ijssel”».

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