La Nuova Sardegna

La rivalutazione della “saba” sarda. Nei dolci e sui piatti

di Pasquale Porcu
La rivalutazione della “saba” sarda. Nei dolci e sui piatti

Una golosità che fa la differenza nel ripieno delle tiricche. Dal mosto fresco di uve cannonau una cottura di dieci ore

10 settembre 2017
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A Sorso le chiamano “cozzuli” ma in gran parte dell'isola si chiamano “tiricche” o “tericche”. Sono quei dolcini di pasta bianca, una sorta di cilindretti a forma di anello e in altre fogge, che all'interno contengono un ripieno di sapa o saba. Prima, nelle case dei sardi, si preparavano in occasione delle festività (per i Santi e per le altre feste più importanti). Ora i negozi di dolci li propongono in tutti i periodi dell'anno.

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A seconda delle zone della Sardegna, però, la saba viene impiegata anche nella preparazione di altri dolci tipici, dal famoso pan'e saba (ottimo quella di Meana Sardo) ai papassini neri di Benetutti. La saba, però, sta conoscendo altri impieghi. Se andate al ristorante Movida di Alghero, per esempio, ve la propongono insieme al gelato. «Meglio se alla crema» dice Daniele Sardu, il titolare del locale che si affaccia sul porto della città catalana. Ma c’è chi gradisce la saba sul gelato alla frutta. Molti gourmet, però, ne fanno uso abbondante sia con la ricotta gentile che con il denso e delicato yoghurt di capra dell'azienda Mannalita o quello cremoso di pecora della famigia Dore di Osilo. Il caratteristico sapore dolce/amaro della saba riesce a esaltare il latticino che accompagna facendolo diventare un formidabile e originale dessert che aiuta la digestione. Trovare la saba non è impresa facilissima. Ancora oggi chi lo deve usare per la confezione dei dolci casalinghi se la prepara da sé. Qualche azienda lo ha fatto in passato (ad esempio Argiolas di Serdiana) o altre piccole aziende vinicole (ottimo quello dei pastai di Sorso, Fratelli Pinna) ma nei canali ufficiali della distribuzione non è impresa facile trovarne in quantità.

Angelo Cannas è un commercialista di Sassari che la passione per la saba la possiede da anni. E nel suo vigneto della regione Marchetto, tra la città e Platamona, dà una mano alla moglie per trasformare una parte del suo Cannonau in mosto cotto (azienda agricola Rina Canalis, via Eba Ciara Filigheddu, tel. 334.6481426).

Angelo ti mostra con orgoglio una citazione di Ovidio sulla saba; «... allora puoi ber dalla ciotola coma da una tazza il bianco latte e la purpurea sapa».E poi ti spiega il procedimento con cui nella sua famiglia si è sempre fatta la saba. «Occorre avere del mosto fresco di uve cannonau_ dice_ concentrato a fuoco lento per oltre dieci ore e a cielo aperto a senza coperchio. Occorre girare continuamente il liquido, soprattutto quando si aggiunge della frutta cotta come fichi , mele, ciliegie, albicocche. I residui della frutta aggiunta poi vanno rimossi e il mosto lasciato addensare. A quel punto la saba è pronta per essere imbottigliata e conservata prima dell'impiego fino a cinque anni. Naturalmente le dosi della frutta possono variare a seconda delle tradizioni di famiglia o dei gusti personali. E soprattutto dell’impiego che si desidera fare della saba stessa. Sul gelato e sulla ricotta sarà più densa, quella per le tiricche, invece, che dovrà essere cotta di nuovo in forno, in teoria potrebbe anche essere meno densa. Quel che importa è che il gusto finale sia caratterizzato dagli aromi del caramello e della frutta secca. Molti gourmet, in particolare, preferiscono la saba che abbia un bel profumo di fichi secchi».


 

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