La Nuova Sardegna

Quando i romani bevevano il mulsum

di Emanuele Fancellu
Quando i romani bevevano il mulsum

A “Vinalia turritana” un viaggio affascinante nell’antico mondo del vino

12 settembre 2017
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PORTO TORRES. Dolcissimo, accattivante e ingannevole al palato come il “mulsum”; più deciso e con retrogusto speziato come il “conditum paradoxum” al pepe; dal forte aroma e sapore di pino come il “retsina”. E' il vino il protagonista indiscusso di “Vinalia turritana”, partecipatissimo evento del ciclo “Musei di Storie-Cibo” organizzato all'Antiquarium Turritano dal Polo Museale della Sardegna. Ad introdurre nel magico mondo del nettare degli Dei i rievocatori dell'Associazione Sardinia Romana-Anticae Viae, che hanno condotto i presenti nell'ideale viaggio dalla produzione al commercio e... consumo del dono di Dioniso.

«La vendemmia avveniva in due modi: pestando l'uva in alcune vasche o col “torcularium”, una sorta di pressa dalla quale il mosto si riversava in grandi recipienti». Una volta maturo, il novello iniziava il suo viaggio. Nelle anfore, i contenitori per eccellenza, capaci di "parlare" agli archeologi svelando luoghi, periodi di produzione e rotte. In ogni caso, arrivato a destinazione veniva stipato nei magazzini delle città e distribuito ai ricchi patrizi o nelle taverne, e bevuto in coppe riccamente decorate, spesso a soggetti mitologici, oppure in servizi in argento esposti come simbolo del lusso negli atri delle domus, o ancora in bicchieri di vetro. «I vini dei romani erano molti forti, aspri, perciò venivano allungati – hanno spiegato i rievocatori – . C'erano poi quelli speziati: il mulsum, usato come aperitivo, leggero e allungato col miele; il conditum paradoxum, una sorta di vin brulè col vino cotto con miele, datteri, fichi, alloro, zafferano».

Vino usato, naturalmente, anche per i riti sacri, e oggetto di giochi come il "kottabos" il cui scopo era colpire un bersaglio, un piatto o un vaso, col vino rimasto sul fondo della coppa. Dopo la degustazione dell'antico, certamente meno difficile di quelle passate con pani particolari e garum, ecco quella dei moderni cannonau e vermentino dell'Azienda Vitivinicola di Leonardo Bagella.

Quindi, la lectio magistralis del giornalista enogastronomico Pasquale Porcu, che partendo da alcuni ritrovamenti archeologici, ha condotto gli astanti in un affascinante viaggio nella storia della vinificazione in Sardegna, terra capace di almeno 150 vitigni, passando dal cannonau al vermentino, dal cagnulari alla vernaccia, dalla malvasia al carignano chiudendo con una costatazione sul presente: «La situazione del vino sardo oggi è drammatica. In passato si coltivavano settanta, ottantamila ettari, oggi ventiseimila. La produzione, seppure di qualità, è di appena 450mila quintali. Bisogna aumentarla a tutti i costi».

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