La Nuova Sardegna

«Ecco le anime salve cantate da De André»

di Andrea Massidda
«Ecco le anime salve cantate da De André»

Il critico John Vignola parla del disco ristampato dalla Sony

16 settembre 2017
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SASSARI. Non un’operazione nostalgia e nemmeno il classico tributo. Semmai il tentativo di divulgare il più possibile, anche tra le nuove generazioni, uno dei dischi più belli della storia della musica italiana. Da qualche giorno la Sony ha pubblicato l’album “Anime Salve”, ultimo e straordinario lavoro di Fabrizio De André, in un’edizione speciale inserita nel catalogo “Legacy edition”. Il cofanetto contiene due versioni dell’opera: quella incisa in studio e quella dal vivo, registrata durante l’ultima tournée del 1997. Il tutto accompagnato da un libretto di quaranta pagine firmato dal giornalista e critico musicale John Vignola. «L’idea – spiega l’autore – è quella di descrivere un album importante come “Anime Salve” senza nessuna pretesa di essere esaustivi o sostenere tesi che non siano già state sostenute. L’obiettivo, insomma, è quello di ricordare la grandezza di questo disco e la sua incredibile attualità, perché i temi trattati sono ancora cocenti. Ad esempio la scorza che porta, anche i discriminati, a perseguire in direzione ostinata e contraria la ricerca della felicità.

Vignola, chi sono esattamente le “anime salve”?

«Sono appunto quelle minoranze non numeriche ma concettuali composte da persone bistrattate da chi domina il mondo. In questo disco troviamo i rom, i gender, i poveri pescatori, in generale chi cresce male. T utte figure rappresentate in maniera molto precisa. E alla fine c’è anche una “Smisurata preghiera”, che è il tentativo di un laico di entrare in sintonia con chi va verso l’infinito».

Si tratta di un disco lungimirante. È azzardato paragonare De André a Pasolini?

«Credo che, a parte l’attenzione verso gli “ultimi”, siano due personaggi molto distanti. Pasolini è un artista eclettico che ha un rapporto molto intellettuale con il passato. Poi c’è una distanza anagrafica: a mio avviso De André pubblica le sue opere migliori molto dopo la scomparsa di Pasolini (nel 1975 – ndr). No, direi che il paragone non regge: l’anarchismo di Faber e la libertà di pensiero di Pasolini sono due cose molto diverse.

Tenuto conto dei testi delle canzoni, ma anche dei contenuti musicali, dove risiede la grandezza di questo album?

«È un album che dal punto di vista testuale ha una sua grande forza contemporanea, e sotto il profilo musicale ha l’apporto essenziale di Ivano Fossati. In realtà la grandezza di “Anime Salve” sta un po’ dappertutto, e non puoi distinguere i testi dalla musica. La cosa bella che caratterizza le opere di De André è la loro immediata riconoscibilità e la loro grande compattezza».

Fossati è il coautore di questo disco, perché Anime Salve porta solo la firma di Faber?

«Non è cofirmato perché l’ultima parola, cioè il sigillo definitivo a tutte queste canzoni, è soltanto di Fabrizio De André».

A proposito, è vero che il parto dell’album fu piuttosto travagliato? Che cosa accadde tra De André e Fossati?

«Si è tanto favoleggiato sui litigi, ma loro hanno sempre negato. È stato di sicuro un percorso lungo, di almeno tre anni. I due hanno lavorato in simbiosi e poi c’è stata una frattura, pare non personale ma creativa».

Quante volte le è capitato di trovare un artista che in circa trent’anni di carriera produce brani molto diversi tra loro, ma tutti bellissimi, dagli esordi sino al capolavoro finale?

«De André è certamente un personaggio unico nella storia della musica popolare, ma anche della poesia italiana. E questo suo essere unico arriva da lontano, da una personalità che non si pone il problema di essere originale, ma che riesce sempre a rendere riconoscibili le canzoni, anche quelle molto diverse tra loro. “Anime Salve” appartiene a quella trilogia che parte con “Crêuza de mä” e continua con “Le nuvole”.

Legacy in inglese sta per eredità. Secondo lei che cosa ci ha lasciato questo album?

«Una ristampa del genere non vuole essere un’operazione archeologica. Secondo me “Anime Salve” è un album che non ci ha lasciato qualcosa, perché è ancora fortemente contemporaneo, nel senso che continua a darci delle indicazioni sul tempo che stiamo vivendo. Ecco, più che di eredità parlerei proprio di contemporaneità. E credo che Fabrizio sarebbe d’accordo con me».

Qual è, a suo avviso, il momento più emozionante del disco?

«Personalmente resto sempre colpito dal brano “Dolcenera”, che affronta un’alluvione con un piglio drammaturgico incredibile, con una musica emozionante che mette insieme il testo quasi come in un montaggio cinematografico. È veramente un pezzo potentissimo».

La scaletta del live è identica a quella della registrazione in studio. Conoscendo la pignoleria di De André non può essere un caso.

«Pur senza essere calligrafico, De André era molto meticoloso nel cercare di far coincidere i suoni in studio con quelli eseguiti dal vivo: voleva portare in concerto una performance che fosse il più aderente possibile a quello che era il progetto originale. Una cosa che lì per lì fece impazzire tutti i collaboratori, ma che faceva parte del suo grande rispetto per il pubblico. È una caratteristica che lo accomuna ai grandi, e ci metto dentro anche i Beatles. Un motivo per il quale dovremo per sempre essergli grati».

Un disco così può avere respiro internazionale? In altre parole, è traducibile per i mercati stranieri?

«Penso che sia intraducibile, ma non escludo affatto che possa piacere al pubblico straniero così com’è, senza improbabili traduzioni come avvenne persino con Lucio Battisti. Mentre “Crêuza de mä” è un album che stato apprezzato molto anche all’estero ed ebbe molta risonanza tra i musicisti internazionali».

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