La Nuova Sardegna

«Otto brani inediti per svelarvi chi era la mia Giuni Russo»

di Andrea Massidda

Parla Maria Antonietta Sisini, partner della cantante Un cd coi provini della popstar scomparsa nel 2004

19 settembre 2017
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SASSARI. Giuni come Giano. Giano bifronte, la divinità classica che aveva due volti. Nel caso della cantante siciliana Giuni Russo, scomparsa tredici anni fa (esattamente il 14 settembre del 2004), una delle sue facce artistiche era rivolta ad assecondare gli input commerciali dei discografici, l’altra a guardarsi dentro e a esprimere il proprio talento e le intime e ribelli emozioni. Quest’ultimo viso, anche grazie al supporto della sua partner Maria Antonietta Sisini – musicista nata a Sorso ma da anni trapiantata a Milano – emerge in tutta la sua straordinarietà in otto tracce inedite che Edel Italy ha raccolto in un album appena uscito. I brani furono registrati come provini negli anni Ottanta prima che la cantante di tormentoni estivi come “Alghero”, “Un’estate al mare” e “Limonata cha cha cha” venisse conosciuta al grande pubblico, circolando in versioni duplicate nel mercato della pirateria. Ritrovati in archivio i brani originali, l’associazione “GiuniRussoArte” ha realizzato gli arrangiamenti del disco affidando il lavoro al pianista Stefano Medioli, e a Pino “Pinaxa” Pischetola, per dare vita a un sound fedele a quel tempo e comunque già moderno e attuale. A completare l’opera il secondo cd che contiene i rarissimi provini degli stessi brani, nelle versioni voce e chitarra acustica, suonata dalla stessa coautrice dei brani, Maria Antonietta Sisini, appunto.

Maria Antonietta Sisini, come sono saltati fuori questi otto brani inediti?

«Un po’ di anni fa mi era venuto all’orecchio che circolavano nel mercato illegale. E allora, chiedendomi di che cosa si trattasse, ho approfondito la questione andando a fare una ricerca certosina in archivio e, giuro, appena li ho ascoltati sono scoppiata in lacrime. Mi ero completamente, e aggiungo vergognosamente, dimenticata della loro esistenza. Evidentemente Giuni e io, quando nel 1980 abbiamo scritto questi pezzi, li avevamo messi da una parte. Il paradosso è li ho ritrovati grazie alla pirateria musicale».

Ma perché li avevate chiusi in un cassetto?

Conoscendomi, e conoscendo Giuni, sicuramente quando noi li proponemmo ai discografici dell’epoca non furono apprezzati. La verità è che ci spingevano più verso sonorità vicine alla discomusic. E allora…».

“Armstrong” è un disco autobiografico?

«Direi proprio di sì. Se si prende ad esempio il brano “Lacrime e sogni” si capisce bene che Giuni racconta della sua grande sofferenza nel cercare la sua strada artistica. Stesso discorso per “Non voglio andare via”. In generale, comunque, si tratta di testi ancora molto attuali: chiunque li abbia ascoltati mi ha detto che è incredibile che siano stati scritti quasi quarant’anni fa».

Sono tutti pezzi scritti a quattro mani?

«Per quanto riguarda la musica, sì. I testi invece sono praticamente tutti di Giuni, anche se io, ovviamente, qua e là ci mettevo mano per calibrarli».

Quale Giuni Russo si scopre da questi brani?

«Più che un personaggio diverso da quello che conosciamo, con l’ascolto di questi pezzi si scopre un tassello mancante nella sua discografia. E non è affatto un tassello trascurabile, anzi: Giuni era nel suo periodo di massima energia creativa. Sono in ogni caso brani composti prima del grande successo».

Questa sofferenza nel cercare la strada giusta voi l’avete vissuta insieme. Perché un simile tormento?

«L’industria discografica tende sempre a farti comporre ciò che va al momento. Ma Giuni aveva una personalità spiccata e non ne voleva sapere di andare dietro alle hit di allora in stile Donna Summer. Certo, se poi scrivi canzoni e queste canzoni vengono snobbate da chi te le deve produrre, è normale che tu senta una sorta frustrazione».

Qual è il disco di Giuni Russo che la rappresenta di più?

«Lei è sempre stata una medaglia a due facce, come ha peraltro sempre ammesso. Da una parte i successi commerciali che tutti conosciamo, dall’altra io direi proprio queste canzoni che era stata costretta a mettere in cassetto. Oltre al cofanetto Mediterranea tour».

Perché l’album s’intitola Armstrong?

«Questo titolo viene da un brano contenuto nel disco che Giuni compose in onore del grande Louis Armstrong, il quale durante il Festival di Sanremo del 1968 regalò a lei, appena sedicenne, il bocchino della sua tromba. Conservato gelosamente, la foto del bocchino fa parte dell’artwork dell’album».

Ci sono riferimenti alla Sardegna in questo disco?

«Nei testi e nella musica no. Ma la Sardegna è menzionata abbondantemente nella copertina. Si tratta di un quadro molto bello che una carissima sassarese, con il nome d’arte “Ilterzopiano”, mi regalò proprio il giorno della scomparsa di Giuni. Il volto raffigurato nel dipinto non esiste, eppure se si guarda bene l’opera si riconosce proprio il viso di Giuni Russo».

Parliamo degli arrangiamenti del disco.

«I suoni sono assolutamente contemporanei, all’ascolto sembra davvero un disco composto oggi. Ma abbiamo affidato gli arrangiamenti al pianista Stefano Medioli, che ha collaborato con Giuni per vent’anni e ha utilizzato sono strumenti dell’epoca.

C’è un film in lavorazione che racconterà la vita di Giuni.

«Sì, ma siamo ancora elaborando la sceneggiatura e non posso anticipare nulla se non che il regista sarà Carlo Fenizi, lo stesso che ha ideato e diretto il videoclip coni Maria Grazia Cucinotta».+

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