La Nuova Sardegna

«Lusso e miseria la mia Palermo teatro stagnante»

di Giacomo Mameli
«Lusso e miseria la mia Palermo teatro stagnante»

Giosuè Calaciura e il suo “Borgo vecchio”: «Racconto uno status quo intramontabile»

20 settembre 2017
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PALERMO. La prima riflessione va alla cronaca politica prossima ventura in Sicilia dove si voterà il 5 novembre: «Vedo la fiera di sempre, gli stessi volti e gli stessi nomi in qualunque tipo di schieramento, uno spettacolo da circo triste, senza alcuna consapevolezza, slogan che più populisti non si può. Ecco perché anche dalle pagine del mio libro esce l’immagine di una terra immobile. Lo è la Sicilia arcaica e barocca così come lo è l’Italia intera, compresa l’isola sorella di Sardegna. Lo status quo sempre intramontabile».

Parole di Giosuè Calaciura, giornalista palermitano di 57 anni, padre di tre figli, autore a RadioRai, firma di punta di Fahrenheit, autore tra l’altro di “Malacarne” e di “Pantelleria, l’ultima isola”. Per Sellerio è da poche settimane in libreria “Borgo Vecchio”, 134 pagine, 14 euro, storie di ladri, prostitute con figlie angeliche, adolescenti problematici, delatori e poliziotti. È l’italico mondo mediterraneo stile Cent’anni di solitudine. Qui non c’è fantasia, la creatività sta tutta nella cifra narrativa, alta, coinvolgente, non nella descrizione dei fatti.

Una fascetta firmata da Andrea Camilleri spiega il successo di quest’opera: «Calaciura è un nome importante della letterata siciliana e non solo. È, insieme ad altri pochi autori, la nostra unica ricchezza». Il severo Goffredo Fofi, su Internazionale, radiografa in questo volume «il teatro della realtà siciliana alla maniera di Elio Vittorini. Crudelissima come le favole». E su Le Monde Jérôme Ferrari (vincitore del Premio Goncourt 2012) confessa: «Calaciura ha cambiato la mia maniera di scrivere».

La sua scrittura rispetta i fondamentali delle narrazioni autentiche, storia e cronaca sono un tutt’uno...

«Nel segno dell’immobilità. Ho voluto eliminare ogni segno sia della contemporaneità che della latitudine. Emerge Palermo, ma solo per avventura.

Potrebbe essere una città universale di qualsiasi parte del mondo, città orientale, asiatica o sudamericana. Emerge comunque una società stagnante. Lo avverto da alcuni segni di globalizzazione di cui neanche le grandi metropoli, a partire da Roma, sono immuni. Hanno una patina di modernità, con le chiusure al traffico, le isole pedonali, e restano in piedi le città del privilegio dove chi aveva diritti divini e feudali continua a tenerseli stretti».

Ma riga dopo riga emerge, fra contraddizioni e visioni, soprattutto Palermo?

«A Palermo Via della Libertà è il cosiddetto salotto buono, la strada bella, a due passi ci sono i fasti architettonici del Politeamna. Ma giriamo l’angolo e ci troviamo immersi nell’immondizia. Palermo sarà prossimamente capitale della cultura ma è la città europea col più alto tasso di abbandoni scolastici. Gioiellerie in un angolo e in quello opposto lo spaccio, il raduno degli scippatori. È insomma permeata dalle contraddizioni».

Nel libro si miscela spesso il sacro al profano, l’innocenza ai vizi. E mai usa la parola mafia?

«Resta fisso l’elemento della trascendenza. È immobile anche Dio, punisce i soliti noti secondo i peccati canonici dell’antichità. Anche Celeste, la figlia della prostituta, è punita, punita perché studia, perché rompe regole e spezza catene quasi che tutti volessero vivere in acque stagnanti. È il Dio di Giovanni Verga, un Dio che punisce solo i vinti, quindi a Verga siamo fermi, emerge una letteratura che non è redenta perché non è redenta la stessa letteratura. Siamo al sicut erat».

Lei tratteggia la prostituta Carmela più come la Maddalena redenta che come peccatrice, sembra la Maddalena orante di Mario Delitala nel Duomo di Lanusei?

«La figura di Carmela è presa dalla realtà, dalla cronaca che si vive nelle case del quartiere di Borgo Vecchio. Eccolo l’anello debole del consumo tout court dietro le Vie del Lusso, prostitute i cui clienti sono anche capaci di piangere e bambini che ti scippano. Questa società che appare marginale è l’agnello sacrificale che viene scannato in una società opulenta, in un mondo di diseguali, di forte differenze che ci ostiniamo a non voler riconoscere».

E ci sono anche i morti ammazzati...

«Sono quelli uccisi dalla polizia che insegue e persegue i piccoli scippatori in fuga con piccole refurtive. Gli abitanti poi metteranno anche una lapide-ricordo».

Totò il rapinatore va spesso da Carmela che lo protegge nel letto sotto la Madonna del Manto. Sacro e profano riemergono?

«Pensate che Totò tiene la pistola nella calza perché così è più difficile da usare, prima delle sue corse di rapina Totò affronta le scale di Carmela con un sacco della spesa per farla sopravvivere alla clausura del suo letargo. Eccolo un vinto di sempre, di ieri e di oggi. Ma 1a società continua a combattere solo i Totò, o i Mimmo e i Cristofaro tra i vicoli di Borgo Vecchio».

Vede solo nero o in queste società si apre qualche spiraglio?

«Voglio essere ottimista, ma tutto è nelle nostre mani, in Sicilia come in Sardegna saranno i cittadini a dover decidere, a dover scegliere liberamente. Una finestra di possibilità si apre solo con una consapevolezza maggiore che ancora non riesco però a vedere. Anche nel libro il bene tiene testa al male e alla morte ed è l’amore a vincere. L’ultima riga dice: Verso Oriente vide il chiarore dell’aba di un altro giorno».

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