La Nuova Sardegna

Marras jr porta la sua “Isola” a Milano Moda

di Angiola Bellu
Marras jr porta la sua “Isola” a Milano Moda

Efisio sulle orme del padre Antonio espone oggi al White, principale salone italiano della fashion femminile

22 settembre 2017
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MILANO. Oggi, alla settimana internazionale della moda milanese, “Milano Moda Donna primavera-estate 2018”, entra in scena un pezzo di Sardegna: fresca, immediata e accattivante come quella di Efisio Marras – rampollo della maison creata da Antonio e Patrizia Marras –, che ha preso le redini della linea contemporary “I’m Isola Marras” diventandone il direttore creativo. Cittadino del mondo e fermamente legato alla sua terra, la Sardegna, Efisio, classe '92, ha coltivato la sua vena artistica e ha costruito la sua strada con la fatica che comporta batterne una già aperta da un padre così “ingombrante”. Il suo percorso lo ha portato oggi a esporre il suo lavoro al White di Milano – il principale salone italiano moda donna – dove ha messo in scena un'installazione in cui moda, arte e memoria toccano le corde emotive dei visitatori, confermando così l'empatia che Marras junior cerca e trova nel suo pubblico. Se le porte per un figlio d'arte si aprono più facilmente, non per questo il successo personale diventa automatico: soprattutto in un campo in cui giocarsi la unica carta dell'essere “il figlio di” dura il tempo di una meteora. Bravo è stato Efisio ad emanciparsi dal punto di vista creativo da suo padre Antonio Marras, il re indiscusso della commistione creativa di generi, colori, cinema e arti in genere. La creazione di Efisio oggi punta sul minimalismo, punta sul bianco e sui ricordi, come lui stesso ci racconta.

Che cosa succede al White?

«Espongo la mia piccola installazione. In una stanza di 150 metri quadri, tutta bianca. Non ci sono modelle, niente che si muova».

Perché questa scelta per la settimana della moda?

«“Isola” si sta evolvendo, sta cambiando anche a livello di mercato e ha spostato gran parte del volume sulla pre-collezione. Così ho voluto presentare una collezione molto piccola di soli trenta capi, un numero un po' limitante. Per questo ho deciso di usare un solo tessuto che fa tutta la collezione».

Un solo tessuto e un solo colore?

«Sì, è stato fatto tutto col solo cotone da camiceria bianco: pantaloni, magliette, camicie e camicioni, abiti e capi spalla. Tutto fatto con il cotone, ma tutto lavorato in maniera diversa: ci sono tante lavorazioni, diverse cuciture, diverse impunture. Queste sono tutte nere, e sul bianco fanno di ogni capo un pezzo unico».

Ha usato il bianco per esprimerti ma ha reso ogni capo unico. Come ha lavorato?

«Ho lavorato in maniera diversa per ciascun capo: ho usato la “due aghi”, il taglio vivo fatto al contrario, le due catenelle che fanno una specie di ornamento. Quelli che prima erano i ricami per babbo, con me sono diventate le cuciture, le impunture. Ci sono asoline ornamentali che fanno l'imbellimento di questi 30 pezzi di cotone. Tutti i dettagli neri, tutti i capi bianchi. Dall'Ottocento a oggi abbiamo visto tutto nella moda e tutto è stato rivisitato».

Si rifà a un periodo o a uno stile particolare?

«In realtà no. Cerco di non pormi limiti: in questo specifico periodo storico in cui tutto è stato fatto, in quest'epoca di citazionismo, tutti citiamo tutto. Questo mi piace molto, e io ho voluto spaziare: dai top ai gonnelloni, agli short. Capi per le mie amiche ventenni e i camicioni per mia zia sessantenne».

È una collezione inclusiva.

«Sì, come tutto quello che cerco di fare. Credo anche che una linea commerciale debba abbracciare tutti. Sono fiero di averci provato con soli trenta capi: è stato per me un esercizio di stile, di concentrazione, di dedizione ai dettagli».

Qual è stata l'ispirazione di fondo?

«Senz'altro la casa di mia nonna a Naracone, una località vicino a Santa Teresa di Gallura. Ci vado da sempre, tutte le estati. Prima ci andavo con mia nonna ora vado con gli amici. È in campagna, nel nulla. Non c'è neanche l'elettricità e l'acqua dopo tre giorni finisce. Ma è tutto molto bello. Quest'estate ero là: dentro un cassetto ho trovato delle foto assurde che avevo scattato tempo fa. Le ho volute usare per questo lavoro: su ogni capo infatti c'è stampata o rattoppata una di queste foto».

Che cosa raccontano?

«Raccontano un piccolo viaggio attraverso la mia Sardegna: ci sono le mucche di mia nonna, le mia amichette al mare... così ogni capo ha la sua stampa che lo rende unico grazie a questo viaggio della mia memoria».

Quanto è importante la memoria per lei?

«È fondamentale: bisogna essere sinceri e parlare di se stessi nel senso di quello che si è vissuto. Se no, credo che non si abbia niente da comunicare».

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