La Nuova Sardegna

Il libro di Franceschini: Dalle dolci colline di Usini sino al mare di Cala Sabina

Dario Franceschini
Franceschini con il suo libro
Franceschini con il suo libro

Esce la raccolta di racconti “Disadorna e altre storie” del ministro dei Beni culturali: Il delta del Po, Ferrara ma anche la Sardegna delle vigne e della Gallura 

01 ottobre 2017
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Dal libro di Dario Franceschini “Disadora e altre storie”, appena pubblicato da La Nave di Teseo (96 pagine, 15 euro) pubblichiamo uno dei venti racconti, quello ambientato tra Usini e Cala Sabina a Golfo Aranci.

Era vero, non aveva mai visto il mare.

Non certo per la distanza di Usini dalla costa, poco più di un’ora col treno da Sassari, quanto perché sua moglie Angelina glielo aveva descritto così tante volte, e con una tal dovizia di particolari, da rendere inutile un viaggio per vedere una cosa che sapeva già perfettamente com’era.

Anche per questo non capiva proprio la testardaggine di suo figlio. Addirittura tornare dal Continente.

Salvatore Cossu, Tore per tutti, aveva preso la lettera dalle mani del postino e l’aveva infilata in fretta nella tasca della giacca, facendogli cenno di tacere con la moglie che chiedeva notizie dalla cucina. Era poi andato dal parroco, l’unico in paese che forse sapeva, oltre che leggere, anche tenere un segreto.

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Le lettere portano disgrazie, aveva mormorato camminando verso la chiesa. E di certo lo era anche quella notizia assurda, pensò mentre don Nunnusi gli leggeva ad alta voce le parole del figlio: tornava in Sardegna apposta per portarlo a vedere il mare.

Aveva soldi da buttare dalla finestra? Che razza d’idea era? Certo, era sempre stato strano quel ragazzo, il più strano dei suoi figli. Del resto Gavino, anziché occuparsi della campagna o fare il muratore come i fratelli, aveva deciso di complicarsi la vita ed era partito per il Continente, appena finito il servizio militare. Da quando aveva trovato lavoro a Roma non si era praticamente più fatto vivo con i genitori, che avevano saputo del suo matrimonio e della nascita, quattro anni prima, di un nipotino, Pietro, grazie agli amici usinesi che erano rimasti in contatto con lui.

Da allora suo figlio non era più tornato a Usini e ora si faceva vivo con quella lettera. Tore se l’era fatta rileggere più volte da don Nunnusi per memorizzare le indicazioni precise, l’ora, il giorno e il luogo in cui sarebbe dovuto arrivare col treno: la fermata di Cala Sabina, della ferrovia Golfo Aranci-Olbia, dall’altro lato della Sardegna.

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Nascose la lettera nella casupola degli attrezzi in fondo alla campagna e iniziò a camminare tra i filari del suo vitigno, più alti di lui. Sarebbe stata una buona annata per il Cagnulari, pensò accarezzando le foglie.

Non gli fu facile inventarsi una storia convincente per la moglie. Trovò ancora la complicità di don Nunnusi e disse ad Angelina che il prete gli aveva chiesto di andare a vedere dei terreni che la parrocchia aveva ereditato in Gallura, e che sarebbe stato via almeno due giorni.

Lei ovviamente non gli credette ma preferì far finta di nulla. Si era convinta che il marito in realtà sarebbe andato in un bordello di città, forse per un tardivo rigurgito di giovinezza, ma quello che non le tornava era la copertura del parroco a una storia del genere, a meno che non fosse coinvolto lui stesso, e questo non voleva proprio scoprirlo. Non sarebbe più riuscita ad ascoltare messa, concluse.

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Arrivato il 15 di maggio, Tore prese la corriera per Sassari il mattino all’alba, scese davanti alla stazione ed entrò nell’androne che non vedeva dal giorno lontanissimo in cui era tornato dal servizio militare a Macomer.

Il treno era pieno di famiglie cariche di grandi valigie che andavano a imbarcarsi sulle navi per Civitavecchia e di contadini che portavano animali vivi e merci varie da un paese all’altro. Alcuni bambini gridavano, giocando a fare i ferrovieri, mentre due donne avevano apparecchiato i sedili di legno e distribuivano pane carasau e pecorino ai viaggiatori.

Tore guardava correre la campagna fuori dal finestrino aperto, riconosceva il profumo del mirto, del cisto, del rosmarino e pensava alla sua vite rimasta sola, alla vendemmia che sarebbe arrivata presto e a quel figliolo scappato lontano e che ora era tornato da lui con questa storia del mare.

A Olbia aspettò la coincidenza per due ore. Si affacciò sulla piazza, vide sulla destra il bar della stazione e gli venne voglia di un bicchiere di vino, ma lasciò perdere e tornò a sedersi nella sala d’aspetto. Alle 12.53 prese il treno che portava verso Golfo Aranci, esattamente quello che gli aveva indicato nella lettera. Gavino sarebbe giunto poco prima a Cala Sabina, ma dalla direzione opposta, col treno che arrivava sul traghetto dal Continente.

Salì da una delle tante porte che affacciavano direttamente tra le due file di sedili. Guardò com’era lucido il legno e pensò che Angelina i loro pavimenti li teneva anche meglio di così.

Il treno partì al fischio del capostazione, attraversò un quartiere di case basse e bianche, inondate di sole e poi tornò nella campagna.

Passarono pochi minuti e iniziò a sentire un odore strano, salato, un’aria fresca che gli entrava nelle narici, sino quasi a stordirlo. Capì, e il cuore gli sussultò nel petto.

“Cala Sabina. Qualcuno scende alla spiaggia di Cala Sabina?” gridò il controllore.

Lui rispose alzando il braccio, come all’appello della maestra di tanti e tanti anni prima, prese la sua borsa e si mise in piedi, di fronte alla porta col finestrino aperto.

Il treno iniziò a frenare, sferragliando rumorosamente sui binari e, d’improvviso, di fronte a Salvatore Cossu, contadino di Usini, apparve, vicinissimo, l’infinito mare.

© 2017 La nave di Teseo Editore, Milano
 

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