La Nuova Sardegna

Lo sviluppo locale nell’isola Le ragioni di un grande flop

di Giacomo Mameli
Lo sviluppo locale nell’isola Le ragioni di un grande flop

Il libro curato dall’ex presidente del Banco con Paolo Fadda e Antonello Angius Un’analisi che mette sotto accusa decenni di politiche regionali sbagliate

09 ottobre 2017
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Dopo aver letto (e apprezzato) il libro, quel punto interrogativo del titolo di copertina (“Lo sviluppo locale in Sardegna: un flop?”) resta un segno grafico per lasciare aperta una porticina almeno a un briciolo di speranza. Perché l’autore, Antonio Sassu, caposcuola degli economisti sardi contemporanei, non usa eufemismi e mette nero su bianco che «i numeri presentati e le argomentazioni illustrate mostrano il fallimento delle politiche regionali nazionali e comunitarie in Sardegna».

Professore, neanche uno rimandato a settembre, tutti bocciati.

«In qualche riga più sotto di quelle citate preciso in dettaglio che sugli obiettivi cruciali delle politiche attuate il fallimento – ripeto questo sostantivo – è stato totale. E so molto bene di aver ricoperto anch’io ruoli di governo. Chi dà uno sguardo alle tabelle inserite trova dati scoraggianti. Ai programmi europei Leader si dava molto credito. Oggi, guardando gli andamenti demografici, notiamo che in quei territori che volevamo animare economicamente, il calo demografico tra il 2001 e il 2009 è stato del 5,9 in Goceano-Logudoro, nel 4.8 nella Marmilla-Sardidano, del 3.3 in Ogliastra, e via elencando segni negativi. Le risorse destinate ai territori vanno utilizzate ma ciò non è successo né col Piano di rinascita né con la programmazione negoziata. Ecco il flop».

Non c’è proprio via d’uscita?

«L’esperienza è servita molto, le risorse talvolta sono state impiegate. Occorre trovare una strategia che premi una programmazione innovativa e che faccia selezione nei territori più dinamici».

E allora sviluppo locale addio?

«C’è differenza tra sviluppo locale e programmazione negoziata, sono cose del tutto diverse. Se la programmazione ha fallito non vuol dire che lo sviluppo locale non sia fondamentale e da perseguire a tutti i costi. È il faro che deve illuminare la Sardegna di domani. Credo, spero, voglio lo sviluppo locale. Ma c’è sviluppo territoriale solo quando tra risorse e territorio c’è integrazione con l’esterno. Paolo Fadda ricorda i casi di Guiso Gallisai di Nuoro che ha studiato fuori Barbagia e ha portato sotto il Gennargentu la cultura appresa all’esterno. Penso ai Zedda Piras che diventano imprenditori nel settore dei liquori dopo aver varcato il Tirreno, hanno appreso da Cinzano e hanno portato innovazione sotto le torri bianche di Cagliari. In quel settore lo sviluppo c’è stato. Anche oggi le aziende migliori sono quelle che hanno puntato sulla conoscenza, sulle competenze: classici i casi di successo nell’enologia, nella trasformazione alimentare».

Avete sentito anche 35 testimoni privilegiati: quali conclusioni?

«Tutti hanno dato un giudizio di inefficienza complessiva sul sistema economico e di inefficienza, diretta e indiretta, della gestione della pubblica amministrazione. Molte responsabilità vengono attribuite alla Regione che non ha saputo scegliere o indirizzare le imprese verso obiettivi di integrazione e di competitività».

La Sardegna arretra nel confronto con altri territori.

«C’è un ampliamento del divario economico e sociale nei confronti della media italiana e di quella delle circoscrizioni del Nord e del centro Italia. Abbiamo toccato con mano che, con gli strumenti della programmazione negoziata, non vengono risolti i problemi generali dell’isola e quelli dei territori dell’interno».

Perché questo flop senza punto interrogativo?

«Gli errori di strategia dipendono ancora da un’applicazione pedissequa nell’isola di politiche condivise a livello generale, ma senza la capacità di adattarle e integrarle nel contesto di territori in grave ritardo sui fattori dell’istruzione e della cultura imprenditoriale. Molti sono anche i limiti della burocrazia, dopo aver concesso finanziamenti abbiamo toccato con mano la sostanziale estraneità alle pratiche di valutazione dei risultati».

Torniamo all’irrisolto problema della cultura: poca istruzione, poca professionalità.

«Vanno finanziati i progetti meritevoli e innovativi ma di innovazione, tranne rare eccezioni, non ne vedo. Conoscenze e saperi sono importanti quanto le risorse finanziarie. La Sardegna ha esigenza di potenziamento scolastico non di protocolli mai accompagnati da strumenti adeguati di controllo».

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