La Nuova Sardegna

“Turandot” affascina il Comunale di Sassari

di Antonio Ligios
“Turandot” affascina il Comunale di Sassari

Successo, applausi, bis e tutto esaurito per la prima della stagione lirica del nuovo direttore artistico Stefano Garau

15 ottobre 2017
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SASSARI. L’avevamo ascoltata al Teatro Verdi, insieme alla sua omonima – peraltro molto diversa nella concezione teatrale – scritta da Ferruccio Busoni, e allora si era trattato di un ritorno sul palcoscenico sassarese dopo più di mezzo secolo di assenza. Ora, diciassette anni dopo quell’evento, la Turandot di Giacomo Puccini è ritornata a vivere a Sassari, ma sulle scene del nuovo Teatro comunale, quale titolo inaugurale della stagione lirica 2017 dell’Ente concerti. C’è anche un ulteriore motivo di interesse in questa ripresa: l’esordio alla direzione artistica del De Carolis di Stefano Garau, che ha voluto caratterizzare puccinianamente questo suo primo cartellone, visto che la programmazione presenta anche un ulteriore popolare lavoro teatrale del grande compositore lucchese, “Tosca”, titolo che chiuderà la stagione.

Diciamo subito che si è trattato di un esordio felicissimo, giacché questa produzione ha fatto registrare un tutto esaurito, che non era scontato in questi ultimi anni al Comunale, e che lo spettacolo nel suo complesso ha riscosso pieno gradimento dal pubblico. L’allestimento riprendeva la produzione ben collaudata proveniente dal Teatro Nazionale Sloveno di Malibor, già vista in Italia al Filarmonico di Verona: un allestimento che si avvale della regia, dell’impianto scenico e del disegno luci di Filippo Tonon e dei costumi di Cristina Aceti.

Sappiamo che per molti registi la questione dell’ambientazione risulta essere centrale per orientare le proprie scelte narrative e visive. Ultimamente il problema dell’origine persiana o cinese della fiaba è passato in secondo piano, perché la matrice occidentale è emersa prepotentemente (e sappiamo come l’Occidente ha recepito l’Oriente e ne rivisitato la sua immagine, sin dal XVIII secolo). Filippo Tonon correttamente evita sia cineserie antiche che ciarpame cartolinistico moderno (leggi draghi e lanterne rosse), ritenendo che Puccini abbia vagheggiato una Cina più poetica, propriamente favolistica, piuttosto che reale. L’impianto scenico, di grande impatto visivo, si risolve così su una serie di praticabili a forma di cubo, posti su diversi livelli, che scorrono incessantemente trasportando al centro della scena personaggi o elementi di grande rilevo simbolico, il tutto inserito in atmosfere misteriose di grande suggestione create con un uso sapiente dell’illuminotecnica. Atmosfere punteggiate dai bellissimi costumi di Cristina Aceti, sulle cui linee déco primeggiano colori sgargianti e riflessi delle finiture dorate. Un unico appunto è costituito dall’eccessiva abbondanza: una scena a volte troppo satura, di persone e di movimento, che relega la musica a mero contorno.

Altro punto di forza di questa produzione è la direzione di Ivan Ciampa, che guida il palcoscenico con mano sicura e ottimo ritmo narrativo: gli perdoniamo qualche eccesso fonico proprio in virtù di una spiccata duttilità agogica, di un grande respiro sinfonico e di un raffinato senso del colore che hanno pienamente valorizzato questa partitura così moderna e così orientata alle più avanzate esperienze musicali dell’epoca, merito anche dell’ottima Orchestra dell’Ente.

Sul palcoscenico la Turandot di Rebeka Lokar si segnala per una robusta voce di soprano spinto, sicura negli acuti e dalla notevole proiezione di suono, capace anche di sfoggiare, saltuariamente, belle mezzevoci, ma in linea generale incapace di scavare all’interno della complessità e dell’ambiguità del personaggio. Walter Fraccaro risolve il suo Calaf in termini più eroici che affettivi, sciabolando acuti sicuri e disimpegnandosi bene in “Nessun dorma”, discutibilmente bissato, come ormai è costume. Più convincente invece la Liù della giovane Elisa Balbo, al debutto nel ruolo, che ha riservato al suo personaggio quell’ampia tavolozza di colori di cui necessita, rappresentando una convincente contrapposizione dialettica a Turandot.

Vladimir Sazdovski è un buon Timur, e anche il terzetto di maschere nel complesso non sfigura (Enrico Marrucci. Cosimo Vassallo e Manuel Pierattelli), così come l’Altoum di Enrico Zara. Ottima prova infine del Coro dell’Ente, magistralmente istruito da Antonio Costa, e del Coro di voci bianche dell’Associazione Rossini, ben preparato da Claudia Dolce.



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