La Nuova Sardegna

Dall’Oriente coi capitali Lo “shopping” in Italia della potenza asiatica

di Andrea Massidda
Dall’Oriente coi capitali Lo “shopping” in Italia della potenza asiatica

Il libro “Fozza Cina” svela che cosa c’è dietro certi acquisti Mire sulla Sardegna: in mandarino si chiama “Sading dao” 

19 ottobre 2017
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SASSARI. Parli di cinesi in Italia e ancora in molti pensano ai ristoranti che servono involtini primavera e riso alla cantonese, oppure a quei negozi segnalati dalle lampade rosse dove si trova merce a basso costo e di pessima qualità. O tutt’al più ai tanti lavoratori del tessile con gli occhi a mandorla che operano nella zona di Prato, in Toscana. Eppure da qualche anno il business in Italia da parte della grande potenza asiatica è diventato ben altro. Ce ne siamo accorti tutti il 29 giugno del 2016, giorno in cui a Milano – dove per inciso il cognome più diffuso tra gli uomini non è Brambilla o Fumagalli, ma Hu – la maggioranza delle quote della squadra di calcio dell’Inter è passata al gruppo Suning, dell’imprenditore Zhang Jindong, con l’unico azionista italiano, Massimo Moratti, uscito completamente di scena. Un’avvisaglia da non sottovalutare, ma anche la punta di un gigantesco iceberg, come spiega la giornalista economiche Mariangela Pira, che insieme alla collega Sabrina Carreras ha scritto il libro “Fozza Cina” (il riferimento del titolo è appunto all’urlo virale lanciato davanti alle telecamere dal nuovo patron nerazzurro Jindong) e che domani alle 18 sarà ospite della Camera di Commercio di Sassari per rispondere fondamentalmente a un quesito: l’Italia sta diventando una colonia cinese?

Tutto questo mentre a Pechino è in corso il diciannovesimo congresso nazionale del Partito comunista cinese (l’unico partito) e il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, rivendica che sotto la sua leadership il Pil sia passato da 8,2 a 12 trilioni di dollari, così come il 30 per cento della crescita globale sia dovuto alla Cina. «Per noi occidentali – spiega Mariangela Pira, che è anche responsabile del Desk China per Class Editori – in effetti non è facile comprendere la loro doppia economia e ancora di meno il socialismo in salsa cinese. Sostanzialmente, ciò che in questi giorni Xi Jinping ha detto al congresso è che l’economia del suo Paese non chiuderà le porte al mondo, ma nello stesso tempo non adotterà mai i sistemi politici stranieri. La qual cosa equivale a dire che il libero mercato piace eccome, ma a patto che si svolga con le regole cinesi». Con buona pace della democrazia.

Mariangela Pira, che cosa l’ ha spinta a scrivere un libro come “Fozza Cina”?

«Diciamoci la verità, l’italiano medio si è accorto che i cinesi stanno diventando padroni a casa nostra quando i due blasoni del calcio milanese e nazionale sono passati in mani cinesi. Ma pochi sanno, tranne gli addetti ai lavori, chi sia Zhang Jindong, il nuovo proprietario dell’Inter, o Yonghong Li, il magnate che ha preso il posto di Berlusconi alla guida del Milan. Sempre in pochi hanno capito se l’acquisto della Pirelli sia un vantaggio per noi o per il colosso statale ChemChina. Eppure negli ultimi anni aziende cinesi hanno comprato lo storico marchio di moto Benelli, o la mitica Krizia, oltre agli oli Berio e Sagra. Per non parlare delle partecipazioni nelle nostre big dell’energia e delle comunicazioni come Terna, Snam e Telecom. Ecco, la collega Sabrina Carreras e io cerchiamo di capire se dietro questo shopping c’è un disegno geopolitico preciso da parte di Pechino».

Siamo in un mondo globalizzato, perché questo shopping, se fatto da imprenditori abili e lungimiranti, dovrebbe farci paura?

«Non ci deve fare paura, infatti. Però ci sono degli studiosi che dicono che la Cina sarà presto il leader mondiale, superando gli Stati Uniti. Quindi noi dobbiamo conoscere bene queste persone. Il congresso di questi giorni per noi è importante perché sapremo chi saranno i governanti cinesi del futuro. Detto questo, io credo che l’individualità, l’innovazione e il genio italiano pagheranno sempre, e tra l’altro loro lo rispettano molto. Bisogna quindi sfruttare questa situazione cercando di capire che cosa noi possiamo dare facendocelo pagare. Avendo una conoscenza maggiore di quello che è il fenomeno Cina si possono tranquillamente arginare i timori e i pericoli».

Manca la reciprocità, poi.

«Quando una nostra azienda va in Cina non può certo aprire le sedi facilmente, non può creare ferrovie dal nulla senza che Pechino sappia tutto. Reciprocità significa anche dire ai cinesi: queste sono le regole e qui voi giocate con le nostre regole. Oppure: volete giocare con le vostre regole qui, e allora noi giochiamo con le nostre in Cina».

La Cina ha mire anche sulla Sardegna?

«Da quando l’anno scorso il presidente Xi Jinping ha fatto la visita a Nora, la Sardegna è finita su tutti i telegiornali e i giornali cinesi. E la stragrande maggioranza quel popolo ha per la prima volta sentito parlare di quest’isola, vedendone la bellezza e le potenzialità. A quel punto si è generato un interesse molto forte, anche perché i cinesi nell’Italia hanno programmi sul turismo e sul settore immobiliare a esso collegato. La Sardegna, o Sading dao (Isola di Sading), come dicono loro con la traslitterazione fonetica calcata sull’inglese Sardinia, può certo giocare la sua parte. Ma prestando grande attenzione. Perché, come dicevo prima, quando si fanno certi accordi bisogna avere una conoscenza assoluta di chi ti stai portando in casa».



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