La Nuova Sardegna

«Il webcinema è l’ avanguardia dei nostri giorni»

di Fabio Canessa
«Il webcinema è l’ avanguardia dei nostri giorni»

Parla Antonio Bisaccia, direttore di Belle arti Ristampato il suo saggio “Punctum fluens”

28 ottobre 2017
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La prima edizione risale al 2002 e negli anni è diventato un piccolo classico nell’ambito degli studi sulle avanguardie cinematografiche, con adozioni in corsi di diverse università e accademie italiane. “Punctum fluens. Comunicazione estetica e movimento tra cinema e arte d’avanguardia” è uno dei lavori più importanti di Antonio Bisaccia, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Sassari. Esaurito da tempo, il libro torna adesso in un nuova versione. Una ristampa rielaborata per Meltemi Editore. «A questa rivisitazione stilistica – sottolinea Bisaccia – si è aggiunta una preziosa prefazione di Patrick Rumble, docente di cinema e letteratura italiana all’Università di Wisconsin-Madison, e una postfazione di squisito taglio filosofico di R. Bruce Elder, pilastro del cinema sperimentale canadese e docente del Politecnico Ryerson di Toronto».

Professore, partiamo dal titolo: perché “Punctum fluens”?

«Il titolo è costruito dall’accostamento di due termini che apparentemente formano un ossimoro. In realtà ho provato a coniugare due strategie di pensiero molto distanti tra loro. Una risale al libro di Ruggero Pierantoni “Forma fluens”. L’altra è legata al punctum barthesiano. L’idea è di applicare al cinema sperimentale, in maniera linguisticamente creativa, questo doppio snodo teorico che apre le opere filmiche a una dinamica di scambio con le altre arti, nell’idea che il movimento possa rappresentare non solo l’elemento ovviamente fondante del film, ma anche la sua vera materia: cosi come il colore è la materia della pittura o il suono la materia della musica».

Quanto è importante il pensiero di Roland Barthes come punto di partenza della sua indagine?

«Amo Barthes perché getta il già visto oltre l’oscurità della monosemia, facendoci scoprire sempre nuovi livelli di lettura delle opere. Di qualsiasi natura esse siano. Ecco, questa realtà a più livelli, senza che nessuno di essi sia più vero dell’altro, mi affascina e mi apre a visioni».

Una delle caratteristiche del cinema sperimentale, di cui si occupa il libro, sembra essere l'interazione tra registi e artisti di altri settori. Si può dire che è la multidisciplinarità il tratto comune della sperimentazione cinematografica?

«Assolutamente sì. È il suo tratto distintivo e, insieme, il suo destino. La sperimentazione cinematografica nasce dall’idea che è necessario dare movimento alle forme in maniera eslege, ma al contempo solo una cinelingua che non finisca tra i denti delle altre arti può portare a compimento la potenza espressiva del cinema. Quindi confronto estremo, ma anche certo rigore nel cercare dentro il linguaggio del cinema il Dna di questa incredibile macchina della visione».

Perché il cinema affascinò così tanto le avanguardie storiche e letterarie nei primi decenni del Novecento?

«Le potenzialità espressive che il cinema offriva loro erano irresistibili. La nuova arma della visualità in movimento indicava risposte alle esigenze espressive, ad esempio, della pittura che cercava uno strumento in grado di analizzare o moltiplicare il movimento stesso. Il quadro usciva dal proprio frame per indagare tutte le potenzialità del mezzo».

Qual è il contributo dell'Italia al discorso in quegli anni? Penso al Futurismo.

«Il “Manifesto della Cinematografia Futurista” è forse lo strumento teorico più potente che un movimento d’avanguardia abbia mai pensato sul cinema. Si pensi alla visionarietà anticipatrice di frasi come “Simultaneità e compenetrazioni di tempi e di luoghi diversi cinematografate. Daremo nello stesso istante-quadro due o tre visioni differenti l'uno accanto all'altra”. Avevano inventato il videoclip e la dislocazione spazio-temporale, ma anche la videoinstallazione, l’idea di un cinema sinestetico».

Dal punto di vista pratico la patria del cinema sperimentale è però la Francia. Quali condizioni portarono diversi registi francesi a ricoprire un ruolo di primo nel suo sviluppo?

«Più che la Francia potè Parigi, potremmo semplificare. Ma anche la Germania fu teatro di visioni avanguardistiche di taglio cinematografico. Penso, ad esempio, al cosiddetto cinema puro o cinema astratto. In estrema sintesi, la condizione generale di fondo era quella di una grande stagione in cui il valore della ricerca, e della conseguente sperimentazione, era prioritario sui valori puramente commerciali».

Qual è l'eredità lasciata dalle avanguardie nel cinema dei decenni successivi?

«L’eredità è sotto gli occhi di tutti. Le avanguardie si sono dissolte in una sostanza che si è diffusa a macchia d’olio in tutti gli interstizi della comunicazione. I princìpi che dovevano “dare un pugno allo stomaco” della visione borghese sono diventati il nostro pane quotidiano: basta guardare qualunque costrutto linguistico pubblicitario».

E quali sono oggi le nuove vie della sperimentazione?

«Sicuramente le nuove vie della sperimentazione passano anche, e soprattutto, attraverso la madre di tutte le reti. Trovo molto interessante il cosiddetto webcinema che scardina il linguaggio con la stessa potenza delle avanguardie storiche. Ma molto ancora c’è da fare per raggiungere i risultati di queste. Le nuove e nuovissime tecnologie determinano un’estrema facilità d’uso del mezzo, ma questa rivoluzione non è ancora compiuta. Può agevolmente trovare la sua strada solo quando si arriverà a un “disinteresse” per la tecnica: nel senso etimologico di essere fuori dalla tecnica, assunta quindi come una sorta di mezzo naturale d’espressione. Senza tecnofeticismi».

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