La Nuova Sardegna

Quattro regni per un’isola con i judikes

di Angelo Castellaccio
Quattro regni per un’isola con i judikes

La nascita di istituzioni di governo originali. Dal 3 novembre con La Nuova Sardegna il secondo di otto volumi

03 novembre 2017
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L’espansionismo musulmano segna l’avvio della crisi di Bisanzio e la nascita dei Regni giudicali. Nei documenti si legge infatti judex sive rex: giudice = re, e palatium regium è il palazzo dove abita. All’Impero ci si richiama nel titolo judike (judex = judike in Logudorese, base delle lingue territoriali che si formeranno nell’isola) come attestato di continuità di governo. Nel secolo X troviamo quattro Stati retti da un re con caratteri simili dati dalla comune base geografica, la Sardegna: istituzioni, territorio, confini, economia, lessico, diritto.

Il re e la Corona de Logu
La popolazione sente come elemento identitario il territorio in cui abita, percependo non di “essere Sardo”, ma Turritano, Arborense, Gallurese o Cagliaritano, in quanto ogni Stato ha propri interessi, come attesta la guerra che fanno tra loro. Lo Stato non ha un’autorità superiore, può stipulare accordi internazionali ed è superindividuale, prevedendosi – principio raro a quei tempi – la separazione tra bene dello Stato (Su Logu) e proprietà privata del sovrano. A parità di responsabilità istituzionale il potere dei singoli è condizionato da istituzioni. La più alta autorità monocratica è il judex-rex, capo militare e suprema magistratura; quella collegiale è la Corona de Logu, assemblea delle figure laiche e religiose più rappresentative. Lo Stato si divide in organismi territoriali, le curadorias (amministrate da un curadore supportato dalla Corona de curadoria), composte da più villas (villaggi), unità base dell’amministrazione rette dal majore de villa col supporto della Corona de villa.

Una società stratificata
Alla Corona de Logu, convocata di norma quattro volte all’anno, competono nomina e insediamento del giudice, che avvengono anche per linea femminile, e governo dei problemi di rilievo: firma di paci, dichiarazioni di guerra, nomina di nuovi sovrani, etc. Pubblici ufficiali esigono i tributi (l’armentariu de logu), formano la guardia del corpo del re (il maiore de ianna, a capo della kita de buiakesos), gli fanno da maggiordomo (maiore de camera) custodendo il palazzo regio e sovrintendendo agli ufficiali inferiori: il maiore de caballos (incaricato di allevare i cavalli e organizzare le cacce collettive), di maiali (porcarios) e pecore (berbecarios), del guardaroba (gennezarius), etc. La società, stratificata per potere e disponibilità economica, vede dapprima la famiglia giudicale con i parenti (donnikellos), poi i majorales (ricchi proprietari, Chiesa inclusa), i liberi, gli artigiani (lieros de paniliu) e, per circa il 50%, i servi, obbligati per nascita a lavorare per un proprietario per un certo numero di giornate mensili; vi è qualche schiavo, tale per guerra ed etnia (ad es., i Mori imprigionati nel corso di scorrerie andate a male). La terra è di proprietà demaniale o privata, ma esistono terreni ad uso collettivo (ademprivia); quelli impervi (saltus) sono adibiti ad allevamento a pascolo brado ed alla raccolta di legnatico, i migliori ad attività produttive: orti, vigne con alberi da frutta, agricoltura, pascolo. Regolano i rapporti sociali leggi consuetudinarie, gli Usus terre mee, Usus antiquos, basate sul diritto romano (Sa Leze) e bizantino e tramandate oralmente tramite i Bonos Homines, persone di rinomata onestà intellettuale che assistono il curadore nelle cause. I regni giudicali sono di diversa durata.

Geografia del potere
Il Regno di Càlari (900 c.-1258) si estende per 8226 km sulla Sardegna meridionale e sud-orientale (Sulcis, Campidano di Cagliari, Gippi, Trexenta, salto di Quirra fino al golfo di Orosei), ha circa centomila abitanti distribuiti tra la capitale Santa Igia (oggi area di Santa Gilla invasa dall’espansione edil-commerciale) e 16-17 curadorias. Sul piano religioso presenta l’archidiocesi di Càlari e le diocesi suffraganee di Suelli, Dolia, Sulcis. È regolamentato dalla Carta (de Logu) Kallaretana, conosciuta in un tardivo frammento in Toscano dei primi del ’300. Una spedizione musulmana che distrugge Caralis funesta il secolo X, che vede un buon rapporto con gli altri regni isolani. Dei successivi sono la ripresa delle relazioni con la Penisola e un instabile equilibrio con le Repubbliche di Pisa e Genova, incentivate con i Benedettini, – Cassinesi e Vittorini di Marsiglia – dai governanti locali tramite la concessione di donnicalias (terre, immobli e bestiame) a presentarsi in loco per offrire alleanze militari, migliorare la coltura dei suoli, insegnare il Credo della Chiesa di Roma.

Il rapporto con la Terramanna
Nel 1217 mercanti pisani ottengono di costruire sulla collina presso Santa Igia Castel de Castro, che tramite il porto di Lapola valorizza il territorio condizionando la politica giudicale. Il giudice filogenovese Chianno reagisce concedendo la rocca a Genova e scatenando la reazione di Pisa; di conseguenza, una coalizione pisana abbatte nel 1258 il regno dividendolo tra i vincitori, con Pisa che trattiene per sé il Castello. Dell’architettura militare restano i castelli di Medusa, Acquafredda e Sanluri prearagonese.

Il Regno di Torres o Logudoro (900 c.-1259/72), meno di centomila persone su 6958 kmq., comprende la Sardegna nord-occidentale fino al Coghinas confinando ad est col Regno di Gallura, a sud coi regni di Arborea e Càrali tramite il Monti Ferru, il Marghine e il Goceano. I caratteri istituzionali sono gli stessi di Càlari, con minime differenze: 19 curadorias e la capitale Torres che alla metà del XII si alterna con Ardara per motivi strategici. Dinamico per economia e cultura, vive un periodo entusiasmante nel secolo XI, quando alle scorrerie del 1015-16 e 1025-26 (ma non è certo che avvengano qui) di Mugiâhid al-Amiri, signore delle Baleari interessato a spingersi verso Roma, fallite per l’intervento di Pisa e Genova richiamate dal pontefice Benedetto VIII su richiesta dei maggiorenti locali, segue l’arrivo nel Turritano di mercanti di Pisa e Genova interessati alla produzione delle donnicalias donate alle loro chiese cattedrali ed ai Benedettini.

Alle crociate con Pisa
Il benessere che discende dall’incontro di nativi e Terramannesi e l’immigrazione dalle aree interne, con la divulgazione della Passio dei martiri Gavino, Proto e Gianuario ed il presunto ritrovamento delle loro spoglia, portano ad innalzare ad arcidiocesi la diocesi di Torres scorporandone le sedi di Ampùrias, Bosa, Bisarcio, Castra, Sorres e Ploaghe. Si amplia così in Torres la basilica di S. Gavino, cui si accompagnano la Santissima Trinità di Saccargia, Nostra Signora del Regno ad Ardara, S. Pie-tro Extramuros a Bosa, S. Maria Iscalas a Cossoine, Santa Maria di Tergu, S. Michele di Plaiano a Sassari. L’importanza del regno, politicamente più vicino a Pisa che a Genova, ne fa una tappa della vittoriosa Crociata pisana (1113) contro le Baleari come deterrente per ulteriori scorrerie musulmane. Genova, assente, ne pagherà le conseguenze.

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