La Nuova Sardegna

Sequestri e delitti, i misteri del banditismo

di Roberto Sanna
Farouk Kassam (foto di Claudio Gualà)
Farouk Kassam (foto di Claudio Gualà)

«Una piaga sociale che ha devastato la Sardegna» Analisi e retroscena nell’inchiesta di Mario Guerrini  

11 novembre 2017
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Quasi cinquant’anni dopo “L’Anonima sequestri” Mario Guerrini sente di avere ancora qualcosa da dire. Allora era un giovane cronista della Rai che voleva raccontare le esperienze vissute in prima persona di una stagione che segnò profondamente l’isola. Adesso, negli anni della pensione, aggiunge nuovi capitoli con “Banditismo, i segreti di un reporter televisivo”, edito da Ariu, libro col quale prende anche posizione in maniera decisa nei confronti di alcuni dei protagonisti di quelle vicende3. Dal processo all’Anonima al rapimento di Farouk Kassam, da Graziano Mesina ad Annino Mele a Matteo Boe, dal commissario Corrias al giudice Lombardini, nel libro riemergono nomi ed episodi che fanno parte di un passato che la Sardegna può lentamente relegare nel dimenticatoio ma non potrà mai rimuovere del tutto.

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Il suo primo libro è datato 1969: perché ha deciso di ritornare sull’argomento 48 anni dopo?

«Ho cominciato a pensarci già cinque-sei anni fa, nei miei appunti erano rimasti alcuni episodi che pensavo meritassero di essere raccontati. Del resto non tutte le informazioni che un giornalista raccoglie vengono successivamente utilizzate per i servizi, tanto più se sono servizi di due minuti e mezzo per la radio o la televisione. Ero però incerto se mettermi all’opera o meno, non mi sembrava materiale tale da giustificare un nuovo libro e sono rimasto fermo. Negli ultimi tempi però ho visto qualcosa che non mi è piaciuto e ho cambiato idea».

Si spieghi meglio.

«Ho la sensazione che si sia dimenticato il banditismo per quello che è stato realmente, cioè una piaga sociale che a lungo ha devastato la Sardegna e i sardi. Un fenomeno complesso generato dalla società barbaricina, la quale è stata poi una delle vittime. In compenso, si sta parlando molto di alcuni di personaggi che hanno avuto un ruolo fondamentale in quelle vicende. Mi riferisco, in particolare, ad Annino Mele e Matteo Boe. Per quel che mi riguarda, nei loro confronti non riesco ad avere alcuna giustificazione».

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Che cosa non le piace, in particolare?

«Non dico che ci sia una rivisitazione sulla loro storia, perché non è esatto e non voglio assolutamente dire questo. Però è vero che si parla tanto delle loro vicende personali e ci si dimentica di quelle che sono state le vittime delle loro azioni. Ci sono state persone sequestrate e mai più ritornate, altre che sono tornate e ancora portano i segni di quelle storie, ci sono state famiglie devastate psicologicamente ed economicamente. Tutto questo mi ha turbato profondamente e provocato grande rabbia. Non voglio che vengano dimenticate le storie che per dieci anni, da inviato, ho vissuto in prima persona anche con situazioni personali sgradevoli dal punto di vista dell’incolumità personale. Tra i servizi sul Cagliari di Gigi Riva e quelli sulla criminalità ero un volto noto della televisione, una volta a Orgosolo un delinquente mi riconobbe e stava per aggredirmi. Non fu per nulla piacevole, alla fine intervenne un dipendente della Rai originario di Orgosolo, Peppe Muscau, a sistemare le cose».

Nel libro dedica un approfondimento a Matteo Boe e as Annino Mele.

«Due persone che, pur pagando il conto alla giustizia, non si sono mai pentiti di quello che hanno fatto e si sono dimenticano di ciò che hanno inflitto alle loro vittime. Mele è stato ritenuto responsabile di due omicidi e quattro sequestri e ora protesta per le condizioni del sistema carcerario italiane. Le sue carceri, invece, com’erano?».

La stagione dei sequestri di persona sembra definitivamente tramontata: secondo lei per quale motivo?

«I motivi sono diversi. Innanzitutto l’attività incessante delle forze dell’ordine e della magistratura, e mi riferisco a persone come Emilio Paxi, dirigente della Criminalpol, e Luigi Lombardini, magistrato discusso e sicuramente discutibile, non certo un santo, ma che ha svolto un’azione importante nella lotta ai sequestri di persona. Il suo più grande successo è stato aver ottenuto che la legge sui pentiti venisse applicata, oltre che nella lotta al terrorismo, anche al banditismo sardo. Questo consentì di scardinare l’omertà nel Nuorese e in generale in tutte le sacche di criminalità».

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E gli altri fattori?

«La realtà è che a un certo punto, proprio come disse lo stesso Annino Mele, il sequestro non è stato più redditizio. Per diversi motivi. Intanto all’inizio era un fenomeno sconosciuto alle forze dell’ordine, che poi cominciarono a prendere le misure utilizzando l’esperienza acquisita sul campo e le tecnologie, impegnando sempre di più i banditi. In fondo per un pastore custodire un ostaggio era semplice, non dovevano far altro che condurre la solita vita nel loro ovile. Anzi, come si diceva, una persona “non bela”, bastava imbavagliarla ed era fatta, mentre custodire bestiame rubato poteva essere più complicato. Poi è arrivata la legge sul blocco dei beni delle famiglie delle vittime. Una legge crudele, cinica e feroce se vogliamo, ma che ha avuto l’effetto di allungare a dismisura i tempi. Prima l’operazione si chiudeva anche in due-tre mesi, con la nuova legge non è stato più così facile. E alla fine la delinquenza si è spostata su altre forme di guadagno, soprattutto su un nuovo flagello».

Quale?

«La droga. Anche in Sardegna la criminalità ha immediatamente fiutato l’affare e adesso, con un’esagerazione, si può dire che gli ovili custodiscono non gli ostaggi ma la droga».
 

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