La Nuova Sardegna

Musica, estetica e etica Il cd di Raimondo Dore recensito dentro un bar

di Igino Panzino
Musica, estetica e etica Il cd di Raimondo Dore recensito dentro un bar

In un locale immaginario titolare e avventori discutono E alla fine “Trama”, l’album del musicista, viene promosso 

12 novembre 2017
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Questa volta il gestore del nostro solito bar, a sorpresa, prima di lasciarci sprofondare nel lusso della noia, introduce questo tema. «Al bar non abbiamo certo la competenza per giudicare nel merito le qualità musicali di Raimondo Dore, i nostri gusti da semplici ascoltatori ci sembrano tuttavia sufficienti per farci apprezzare questo suo ultimo cd, “Trama”, realizzato con Salvatore Maltana, Massimo Russino e Giovanni Sanna Passino. Senza sbilanciarci nella critica musicale, vorremmo però cercare di esaminare, con un’intenzione che, ci rendiamo conto, resta comunque ambiziosa, un aspetto che riguarda non solo la musica, bensì l’insieme delle diverse discipline artistiche. Intendiamo cioè parlare del rapporto tra la ricerca del bello, che sia musicale, pittorico, cinematografico, letterario, architettonico eccetera, e il giusto. In altre parole tra l’estetico e l’etico».

La cassiera coglie subito la palla al balzo: «Nei miei ricordi scolastici, fin dall’antichità alla musica è stata attribuita una funzione che per la sua capacità di produrre “piacere” all’orecchio umano, grazie anche alle sue virtù mimetiche, veniva considerata, prima di ogni altra, implicitamente educativa. Le si riconosceva, in sostanza, una naturale propensione a stabilire una relazione diretta tra contenuti artistici e relativi compiti sociali. Certo questo concetto di “bello” musicale come segno di civiltà si è sviluppato, nel pensiero antico, secondo modalità che, utilizzando le attuali categorie critiche, possono risultare difficili da individuare e definire».

A questo punto anche il giocatore di flipper sente la necessità di dare sfogo alle sue reminiscenze: «Alla base di questa idea, c’era infatti un intreccio di valori filosofici che costituiva un modello virtuoso, oggi quasi incomprensibile, secondo il quale la musica (l’arte in genere) doveva esprimere la forza della sua natura civile anche attraverso la correttezza virtuosa dell’esecuzione formale, che appunto, potesse essere sentita come un tutt’uno con la sua qualità morale. Nel corso del tempo questo legame tra forma e contenuto spirituale si è alterato, le arti sono diventate discipline sempre più distaccate dalla quotidianità, fino a trasformarsi in luoghi sempre più specialistici. Secondo l’analisi marxista (nonché freudiana) le responsabilità di questa mutazione vanno ricercate nel processo di alienazione dell’individuo, dovuto allo sviluppo del sistema industriale moderno. Un fenomeno complesso, che si mostra del tutto incurante del degrado etico che nasce dalla trasformazione dell’uomo in un soggetto materialmente subalterno e di conseguenza in un individuo schizofrenico ».

Il fornitore di vini butta lì di passaggio: «Se non ricordo male, Miles Davis parlò di una nebbiosa consapevolezza degli artisti di essere costretti a vivere un ruolo deludente: grandi ricercatori e creatori sì, ma sempre più inariditi quanto a spirito civico, solidarietà, desiderio di giustizia».

Riprende la parola, per concludere, il filosofo scettico che alberga nelle vesti del gestore: «A un primo superficiale sguardo Raimondo sembrerebbe non porsi questi problemi, ma a guardare bene in fondo, scopriamo invece che il nostro amico non solo su tutto ciò si interroga, ma che cerca anche di dare una sua originale risposta. Intanto bisogna ricordare le rare doti di empatia che lo distinguono come maestro di musica e che lo fanno risalire a quelle funzioni primordiali della musica individuate nell’antichità, di cui si è già fatto cenno. Se poi, andando avanti, cerchiamo di interpretare la traccia costituita dalla laconica frase che presenta questo disco (“ho tessuto la musica che filava le mie giornate”), si capisce bene che il nesso tra estetica e impegno non è certo un particolare di secondaria importanza nel suo modo di intendere l’ attività che svolge, che, infatti, viene vissuta come incombenza quotidiana. Inoltre anche la sua maniera di attraversare i generi, con la quale parrebbe volerci dire che non esiste il jazz, la classica, la contemporanea o la popolare, ma che esiste essenzialmente la buona o la cattiva musica, ci rivela la schiettezza del suo credo etico-estetico. Sembra che il nostro artista, voglia soprattutto ricreare quel legame che nel mondo arcaico esisteva tra pratica musicale e riti dell’esistenza materiale, rapporto nel quale questa forma d’arte aveva l’incarico di elevare la sensibilità delle persone, che con l’ascolto dovevano sentirsi interiormente migliorate.

L’idea di questa ricomposizione indica così una possibile strada per annullare quella scissione schizoide di cui l’individuo moderno è storicamente vittima. Non è facile trovare un atteggiamento artistico così ottimistico in un mondo di ricerca culturale che sembra sempre più ripiegato su se stesso o, ancor peggio, sempre più prono ai diktat delle leggi di mercato. Ma alla fine la cosa più straordinaria da osservare, è che Raimondo e i suoi collaboratori, sembrano proprio fare risultato con questo progetto dal profilo inequivocabilmente etico, che può avere come significato riassumibile, che l’essere artisti deve significare anche essere figure civiche, cioè fare bene il proprio lavoro».



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