La Nuova Sardegna

Dalla Cina con sudore, così la Sardegna si è tinta di giallo

di Andrea Massidda
Dalla Cina con sudore, così la Sardegna si è tinta di giallo

La comunità con gli occhi a mandorla che dagli anni Ottanta vive in Sardegna. Sono arrivati per cambiare tenore di vita e, dopo aver lavorato senza sosta, hanno iniziato a investire

18 novembre 2017
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Dicono che sulle verdi montagne che sovrastano la città di Qingtian (a un’ora di aereo da Shangai, nella vasta provincia dello Zhjiang) cresca una pianta commestibile tanto portentosa da garantire la longevità. Così gli uomini di quella zona a sessant’anni si sentono ancora dei ragazzini. Dicono poi che in tempi assai remoti, in quello stesso luogo vivesse una meravigliosa dea guerriera, quattordicesima discendente della stirpe dei Chen. Secondo la leggenda fu lei, con un secco colpo di spada, a liberare i contadini da un demone a forma di topo che minacciava i raccolti. Per questo, lì, sulle rive terminali del fiume Ou – che scorre per 388 chilometri prima di raggiungere la città di Wenzhou e sfociare nel mare della Cina orientale – le donne hanno imparato a mostrarsi molto sicure di sé e non sono affatto remissive, come vorrebbe un radicato pregiudizio. Da quelle parti, insomma, nascono persone robuste nel fisico e nel carattere. Ed è proprio dalla contea di Qingtian (e dalla vicina Wenzhou) che provengono quasi tutti cinesi che risiedono in Sardegna. Una comunità sbarcata timidamente a metà degli anni Ottanta, quando a Cagliari, in via Santa Margherita, aprì i battenti il primissimo ristorante dell’isola con il menu a base di involtini primavera e ravioli al vapore.

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Stando ai dati Istat aggiornati al primo gennaio 2017, in tutta l’area metropolitana di Cagliari i discendenti di Confucio con regolare permesso di soggiorno sono 1.183, ai quali vanno aggiunti i 425 residenti nella provincia del Sud Sardegna, che comunque ruotano sempre intorno al capoluogo regionale. Nella provincia di Sassari – intesa con i classici confini, quindi comprendente anche Olbia e Tempio Pausania – si tocca quota 1.090, con un quasi perfetto equilibrio nella suddivisione di genere (557 maschi e 533 femmine). Un particolare importante: significa che la tendenza di questo tipo di migrazione è quella ai ricongiungimenti familiari con l’obiettivo di iniziare una nuova vita in Italia e non ci si accontenta semplicemente di lavorare per mandare i soldi ogni mese nella madre patria, come succede a migranti di altre etnie. In totale, comunque, i cinesi in Sardegna sono attualmente 3.259, il 6,5 per cento della popolazione straniera (in Italia sono 281.972, cioè il 5,6 per cento degli stranieri). Un raffronto piuttosto sorprendente, anche se va detto che mentre nel Continente si rileva la presenza di “irregolari” o non registrati, in Sardegna questo fenomeno è inesistente.

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IL SOGNO ITALIANO
Ma chi sono esattamente i cittadini con gli occhi a mandorla che abitano nell’isola? Che attività svolgono? E, soprattutto, sono ben integrati? Qiao Yan, 37 anni, nata e cresciuta in Manciuria, da tempo insegna la lingua mandarina al Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell’Università di Sassari (tecnicamente è “collaboratore esperto scientifico”) e a queste domande ha dato una risposta nella sua tesi di dottorato che, manco a dirlo, affronta il tema degli immigrati dallo Zhjiang meridionale a Sassari. «La presenza dei cinesi in questa città – racconta Yan – è più recente rispetto a quella di Cagliari, qui la loro comunità è composta principalmente dalla prima generazione e dai figli di essa, usciti dalla Cina ancora minorenni. Prima di emigrare – continua – la vita di queste persone era relativamente chiusa e tradizionale. Lo Zhejiang del sud aveva una società basata sull’agricoltura, soltanto dagli anni Novanta è iniziato uno sviluppo rapido grazie al cosiddetto “Modello di Wenzhou”, un modello di crescita economica, e agli investimenti continuativi degli emigrati di quella zona. Chi ha scelto di andare all’estero è stato stimolato da conoscenti che avevano preso la stessa strada, spinto dal desiderio di onorare la famiglia migliorandone le condizioni di vita. Tra quella popolazione, infatti, l’onore della famiglia è una valore importante: coloro che rimangono economicamente indietro provano vergogna. E la partenza può essere dettata proprio dalla necessità di salvare la faccia».

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IL RISPETTO PER IL MAESTRO
L’integrazione si direbbe riuscita. Ma a patto che si tenga conto della tradizionale riservatezza di questa gente e del forte senso d’identità che la porta a fare quadrato in terra straniera. Si tratta in genere di persone amichevoli, cui piace sorridere e vivere in armonia con il prossimo, nei confronti del quale si nutre un esemplare rispetto. Molto radicato in loro è anche il senso della privacy, che sommato alla comprensibile diffidenza di chi per certi versi si sente ancora un ospite, spesso li porta ad aver pudore di raccontare la propria storia di immigrato. Il rispetto è un tratto caratteriale che si riscontra anche tra i giovanissimi studenti cinesi che frequentano le scuole sassaresi. «Questa comunità – conferma Patrizia Mercuri, dirigente del meraviglioso e multietnico istituto scolastico di San Donato, nella parte popolare del centro storico – è effettivamente un po’ chiusa, ma dà molta importanza all’istruzione. I nostri alunni (5 all’asilo, 8 alle elementari e tre alle medie - ndr) sono precisi, puntuali, con spiccate attitudini logico-matematiche. E soprattutto mostrano un profondo rispetto nei confronti degli insegnanti e dei compagni. Per la loro cultura il maestro è una figura fondamentale, lo si capisce anche dai colloqui che abbiamo con i genitori».

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IL SENSO DELL’IMPRESA
La gente che arriva da Qingtian è assai fiera delle proprie origini: nel 1311 quella stessa contea diede i natali al grande maestro Liuji Bowen, stratega e primo consigliere dell’imperatore che fondò la mitica dinastia Ming. E sempre in zona nacque ai primi del Novecento Chen Cheng, acerrimo nemico dell’ideologia maoista, al punto da diventare il vice-presidente di Taiwan. Particolare rilevante per chi dimostra una spiccata capacità nelle iniziative imprenditoriali private. In tutta la Sardegna sono 745 le attività commerciali e le imprese intestate a titolari cinesi (anche questi dati sono aggiornati al primo gennaio del 2017). Si tratta in larga parte di negozi con merce di vario genere e di ristoranti che hanno allargato la proposta anche al sushi, cibo tradizionalmente giapponese, ma ora molto di moda. «La comunità cinese – spiega Gavino Sini, presidente della Camera di commercio di Sassari – è ormai storicamente inserita nel nostro tessuto socio-economico e a parte qualche attività di commercio all'ingrosso e di riparazioni elettroniche non rileviamo significative presenze in altri settori». Eppure la situazione potrebbe presto cambiare. «L’arrivo qualche mese fa in Sardegna del presidente della Repubblica popolare Xi Jinping – continua Sini – non è stato casuale. Il turismo sulla nostra isola potrebbe infatti rappresentare una nuova frontiera di investimento per i capitali cinesi. Xi Jinping è rimasto molto colpito dalle potenzialità del nostro territorio, che tra l’altro dopo il suo passaggio è diventato famosissimo in Cina. Potrebbe essere qualcosa di più di un semplice segnale – conclude – che dimostra una possibile idea di diversificazione degli investimenti cinesi in Sardegna».
 

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