La Nuova Sardegna

Storia, come i trasporti e l'insularità hanno plasmato i sardi

di Paolo Curreli
La navicella nuragica ritrovata nel nuraghe Spiena di Erula
La navicella nuragica ritrovata nel nuraghe Spiena di Erula

Cultura, industria e perfino genetica: come il rapporto con l’esterno ha modificato gli abitanti dell'isola

18 novembre 2017
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Intanto, da dove arrivano i sardi? La risposta dei genetisti contraddice la prima impressione che si potrebbe avere guardando la cartina del Mediterraneo. I sardi posseggono la maggior parte della variabilità presente sul Dna del cromosoma Y degli altri popoli europei. Si tratta cioè della singola popolazione che sembra racchiudere meglio le caratteristiche genetiche di tutti gli europei.

LO SCRIGNO DEL DNA
«È stata la glaciazione, 18-20 mila anni or sono che ha permesso di attraversare il brevissimo specchio di mare e di poter popolare l’isola – spiega Paolo Francalacci, dell’università di Sassari studioso della genetica evoluzionistica e delle popolazioni –. Il flusso genetico ci riporta a genti che arrivavano dall’area dei Pirenei, e la toponomastica in Sardegna conferma questo movimento, molti nomi di luoghi sono molto simili alla lingua basca. Il restante 50% portato dai flussi successivi ha una grande ricchezza di variabilità: con segni etruschi, fenici, romani e sub sahariani (portati probabilmente dai vandali o, in epoca più antica, dai romani). Nel centro e in Ogliastra possiamo studiare un patrimonio genetico iberico che resta cristallizzato fino ad oggi».

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CENTRALI CON I NURAGICI
Queste genti diedero vita a una delle più straordinarie civiltà umane, quella dei costruttori di nuraghi, e anche qui una scoperta: forse fu quella l’epoca cui la Sardegna è stata più centrale nei flussi dei trasporti. Franco Campus è l’archeologo che ha ideato la mostra “Nuragica”: «Uno dei tratti distintivi, e per certi aspetti sempre sorprendenti anche per gli addetti ai lavori è l’estrema mobilità di uomini e merci nell’antichità. Le fonti archeologiche documentano molto bene tale vivacità già seimila anni or sono quando l’isola “esportava” nel nord Italia e nella Francia meridionale la preziosa ossidiana. In seguito le comunità nuragiche costituiranno parte integrante di movimenti e scambi commerciali anche a lunga distanza e per via marittima, attraverso le “vie dell’ambra, dello stagno ecc.”. Scambi organizzati che si configurano quali eccezionali veicoli di idee, cultura e di innovazione tecnologica».

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TRA I MONTI IL LATINO ANTICO
Tra aperture e isolamento dalla preistoria all’impero romano la Sardegna ha preservato una lingua romanza originale, la studia Giovanni Strinna dell’università di Sassari: «La lingua dà molte informazioni sulle dinamiche di circolazione. Sappiamo che il Sardo si sviluppa a partire dal latino dei soldati romani di stanza nell’isola tra il II secolo a.C. e il II d.C. Già dall’età di Traiano (dal 98 d.C), però, si ha un progressivo isolamento e un calo delle relazioni col continente che impedisce l’apporto delle successive innovazioni linguistiche. La conseguenza sarà una conservazione dei tratti più arcaici, che a Roma scompaiono già dopo l’età di Plauto (pensiamo a parole come muttire, “chiamare”, e agasone “guardiano di cavalli”). Di fatto, il sardo si differenzia dalle altre lingue neolatine proprio per l’arcaicità del suo lessico, che sembra rimasto estraneo agli apporti della cultura cristiana e al greco. Grazie al mare le due città di Turris e Calaris sono state l’epicentro delle innovazioni anche nel Medioevo: da qui giunsero i primi prestiti del Toscano e poi, da Cagliari, l’influenza del Catalano. Mentre nel Logudoro si affermerà direttamente il Castigliano».

UN’ESTETICA MUSICALE UNICA
Il musicista classico e jazz Gavino Murgia è anche un talentuoso cantante a tenore: «Nonostante l’isolamento anche i sardi hanno dato vita al desiderio umano di fare musica. Così sono nati, senza influssi esterni, il canto a tenores e le launeddas che rappresentano le radici antichissime di un’estetica musicale talmente unica che è difficile trascriverla con i sistemi temperati moderni».

REGNI NATI DALLA SOLITUDINE
Dopo la caduta dell’impero e l’espansione musulmana la solitudine della Sardegna dà vita a una particolare e originale forma di stato: i Regni giudicali. «Sono la risposta locale all’allontanamento da Bisanzio – spiega Franco G.R. Campus, archeologo e uno dei curatori del Museo delle tradizione Genovese di Castelsardo – . Un sistema duraturo che però appare stranamente arcaico agli occhi degli stranieri. I giudicati sono dei fossili carolingi, con un re circondato da una corte, mentre il resto del mondo procede già da tempo per altre strade. Le rotte e i porti sardi restano quelli romani. La vera novità arriva dopo il 1200, i genovesi Doria costruiscono due nuovi approdi a Castelgenovese e Alghero, una vera rivoluzione nelle rotte. Da questi porti partono merci che la spopolata Sardegna produce ma non riesce a trasformare, come il corallo o le pelli».

ARTE DALLE FIANDRE
Anche la circolazione dell’arte nel periodo cruciale della fine del Medioevo e la rivoluzione del Rinascimento, percorre in Sardegna strade originali. Lo spiega la storica dell’arte Maria Vittoria Spissu: «I trasporti tra Quattro e Cinquecento garantivano una facilità di movimento tra l’Isola e il Levante spagnolo, così abbordabile, da ricordare la frequenza di un servizio di linea. Ciò ha permesso a diversi artisti forestieri di trovare in Sardegna, una piazza congeniale, anche se non di prim’ordine. Durante gli imperi di Carlo V e Filippo II, l’isola ha risentito di uno spiccato gusto flandro-iberico, e ancor prima, ma più sommessamente flandro-provenzale, in sintonia con la dominazione angiona a Napoli, altro polo da cui l’Isola era fermamente attratta, e con cui i trasporti risultano sempre vivi. Tanto che per arrivare ormai al Cinquecento, lo stesso Pietro Cavaro, dovette avere non poche connessioni con il Raffaellismo Meridionale: è noto tramite documenti un suo viaggio a Napoli. Così come tra fine Quattro e inizio Cinquecento doveva muoversi nella Barcellona del tempo il Maestro di Castelsardo, pittore che oggigiorno tutti gli studiosi concordano nel ritenere di origine catalana. Inserita in rotte mediterranee ancor più vaste, l’Isola ha potuto soffrire, nella realtà, molto meno di quell’ormai noto “ritardo culturale” che spesso si è affacciato nelle letture degli studiosi».

ESCLUSI DALLA MODERNITÀ
La modernità e la rivoluzione industriale portano un’accelerazione mai vista nella storia dell’umanità, ma la bilancia dei trasporti per la Sardegna comincia a pendere dalla parte dell’esclusione. Lo storico Giuseppe Zichi ha studiato le vicende industriali dell’isola e ricorda che esiste «un altro isolamento» costante nella storia sarda quello tra interno e coste.

«La situazione dei porti sardi nell’Ottocento negli interventi dello Stato risentiva di una forte sperequazione rispetto alle altre aree del Paese: e così aveva preso corpo nell’Isola una sorta di guerra di campanili per avere strade e porti – sostiene Zichi–. Soprattutto gli abitanti della parte centrale della costa orientale, chiedevano la costruzione di un porto collocato a metà strada tra Cagliari e Terranova. Con il sardo Nicolò Ferracciu ministro della Marina, negli anni 1878-79 parve che si aprisse finalmente una stagione nuova. La realtà fu del tutto diversa. Tutti i prefetti che venivano mandati in Sardegna segnalavano i gravi deficit dell’organizzazione delle strutture civili. Il geografo Maurice Le Lannou, faceva discendere la mancata relazione regionale interna dal fatto che i villaggi erano “slegati l’uno dall’altro”. Un momento di svolta significativo lo si ebbe con la costruzione della grande “strada reale”, costruita fra il 1822 e il 1829, sotto il regno di Carlo Felice. Partendo da Cagliari il suo percorso seguiva molto da vicino l’antica strada romana – di cui allora esistevano ancora molte tracce – per arrivare quasi sui moli del porto di Torres».

Se i problemi di mobilità appaiono ancora molto attuali almeno su uno sembra si siano fatti dei passi avanti. «La paura di attraversare l’Isola era una costante – spiega Zichi –. Il Monte Santo, era stata fino ad allora il “terrore dei viaggiatori”. Infatti racconta il Valery “una banda numerosa di briganti che vi si erano trincerati li osservava da lontano e piombava loro addosso all’improvviso; poi, dopo aver svaligiato o ucciso tutti, quei predatori riguadagnavano i loro nidi di roccia”».

Zichi ricorda l’esperienza delll’Airone: «la prima compagnia tutta sarda nata per riprendere i voli di linea con il continente alla fine della seconda guerra mondiale. Nel secondo rapporto EU Regional Competitiveness la Sardegna si colloca complessivamente al 222° posto su 262 regioni considerate –conclude lo storico –. Per strade e ferrovie l’indice colloca la Sardegna al 231° posto su 259 regioni europee. Insomma dopo quasi un secolo dalle riflessioni di Le Lannou la situazione dei trasporti per e nell’isola non sembra cambiata di molto».

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