La Nuova Sardegna

Pale d’altare di oggi Lo sguardo verso il cielo di Garau

di Paolo Curreli
Pale d’altare di oggi Lo sguardo verso il cielo di Garau

L’artista parla del suo nuovo progetto creativo «La pittura ci pone ancora domande importanti»

23 novembre 2017
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SASSARI. Un profeta della pittura, un evangelista del trascendente. Salvatore Garau riprende il suo percorso nell’immagine con il progetto “Futuri affreschi italiani. Pale d’altare per il XXI secolo”. Grandi dipinti pronti a girare per il mondo, (le opere saranno esposte presto a Pechino, Tel Aviv, Parigi, Londra e in Brasile. In aree industriali dismesse, chiese musei, ambasciate e istituti di cultura italiana). Oggi saranno in anteprima a Cagliari al festival “Pazza idea” due di questi lavori “sacri” dell’artista di Santa Giusta.

Nel mondo confuso e spesso troppo didascalico dell’arte contemporanea, l’immagine prodotta dai gesti delle mani, filtrata dagli occhi di un artista multiforme come Garau (musicista, romanziere e cineasta) diventano un manifesto della volontà del ritorno alla dimensione personale e poetica, mai spenta, della pittura. «La pala d’altare è un rettangolo, un punto d’attrazione – spiega l’artista –. Una calamita posta al centro di una chiesa, che attira l’attenzione e rimanda evocazione e mistero». Un oggetto, come pochi nella storia dell’arte, capace di raccogliere la volontà e il messaggio di appartenenza della comunità. Viene in mente l’episodio dei cittadini senesi che portano in processione, quasi rapendola ancora fresca di colore dallo studio, la Maestà di Duccio di Buoninsegna per portarla sull’altare del duomo.

«Sono tornato a dipingere dopo due anni in cui ho aspettato che dentro di me maturasse l’idea – racconta Salvatore Garau –. In un momento di sbandamento, di mancanza di punti di riferimento ho pensato che il sacro, la mistica fossero il centro a cui dobbiamo tornare. Questo è il modo di pormi davanti all’opera, aspettare che arrivi l’urgenza di esprimermi, quando mi sento gravido dell’idea. La mia pittura si realizza nel momento felice del fare, un albero che cresce immediato con tutti i suoi frutti; se questo avviene il lavoro è realizzato e scappo via dallo studio per non rovinare il momento magico. Così sono nati questi “Affreschi italiani”».

Enormi teloni in pvc che proponevano messaggi pubblicitari, che l’artista riassembla e dipinge con i suoi colori liquidi, percorsi dai gesti della pittura che restano tangibili e raccontano lo sviluppo della creazione. Una sovrapposizione di messaggi lontanissimi.

«In genere lavoro nel mio studio di Milano, ma per questi dipinti avevo bisogno di uno spazio più grande e delle luci del mare e dell’atmosfera di ricordi che ritrovo solo nel mio paese» precisa il pittore. «Ero in cerca di una dimensione che mi riportasse ai miei studi classici, all’arte del ’500 e ’600 di cui siamo impregnati, dopo decenni quelle immagini sono tornate fortissime. Angeli, santi, figure celesti a cui si rivolgono i comuni mortali. Un mistero che ci spinge a capire l’ignoto, ma anche un’operazione concettuale nella scelta di lasciar affiorare frammenti delle immagini moderne, private del loro contesto pubblicitario diventano elementi funzionale del mio lavoro». La classicità “alta” sceglie lo scarto della modernità per parlarci ancora del trascendente. «La domanda iniziale che mi ha spinto a dipingere è stata, “cosa c’è di sacro fuori dal nostri pianeta? Come interpretano da un’altra galassia la nostra idea di religione?”» precisa Salvatore Garau, che a questa urgenza ha risposto con le sue campiture di rosso e bianco, viola e verde, creando nebulose cangianti che inducono anche lo spettatore a porsi le stesse domande e a ritrovare i propri santi, angeli e divinità nei gesti della pittura.

«Non riesco a fare sempre le stesse cose, trovo insopportabili tanti artisti di oggi che ripropongono sempre la stessa soluzione – sostiene il pittore–. Come ho trovato orribile la riproposizione del corpicino del bambino migrante annegato sulla spiaggia, una cosa che ha svuotato il dramma per ridurlo a logo riconoscibile di marketing personale. L’artista cinese Ai Weiwei che si sdraia davanti al mare nella stessa postura del bambino morto. Una cosa tremenda. Nei miei grandi teloni cerco il coinvolgimento diretto estremo e personale. Come avveniva per le pale d’altare nell’antichità, un cinema dell’inconscio del passato ».

Oggi, alle 17 nella sala della Cannoniera al Ghetto di Cagliari, Salvatore Garau dialogherà delle sue opere con Stefano Salis, giornalista de Il Sole 24 Ore e curatore del progetto “Futuri affreschi italiani. Pale d’altare per il XXI secolo”.

La mostra comprenderà una trentina di tele, che raggiungono diverse dimensioni fino ad arrivare a cinque metri per tre. Dopo le esposizioni in giro per il mondo, gli affreschi contemporanei di Garau torneranno tra due anni in Sardegna. Ancora un orizzonte internazionale per la visione dell’artista sardo, di ritorno da una serie di mostre in Brasile e Paraguay. Visione confermata da importanti collezioni e con un obiettivo: riportare la sacralità dell’arte partecipando alla prossima Biennale di Venezia nel padiglione della Santa Sede.

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