La Nuova Sardegna

Gramsci dall’isola al mondo sui sentieri della modernità

di Giacomo Mameli
Gramsci dall’isola al mondo sui sentieri della modernità

Lo studioso presenta in Sardegna il suo nuovo saggio sull’autore dei “Quaderni dal carcere”

25 novembre 2017
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Il pensiero di Antonio Gramsci letto da uno dei più acuti studiosi del fondatore del Partito comunista italiano, Giuseppe Vacca, docente all’università di Bari. Parla nel suo studio romano di via Sebino, sede della Fondazione Gramsci di cui è presidente. Il suo ultimo libro ha per titolo “Modernità alternative”: ma ci sono alternative alla moderna democrazia? «Alternative non ce ne sono. È l’unico metodo del Novecento che, pur in forme diverse, si trasmette e si espande nel mondo. Certo: la crisi è dappertutto. Con Antonio Gramsci possiamo dire che con la progressiva globalizzazione, le decisioni politiche sono prevalentemente affidate alle politiche nazionali e alle classi dirigenti che vi corrispondono. Gramsci la chiamava contraddizione fra il cosmopolitismo dell’economia e il nazionalismo della politica. Contraddizione che sta mandando in tilt la democrazia. Ma democrazia è».

C’è chi parla di post-democrazia. E non è una voce isolata.

«Quel post è una preposizione che si aggiunge a vecchie parole o a parole di largo uso di solito quando non si sa come ridefinirne il contenuto».

E c’è anche la post-verità.

«Ripeto quanto ho appena detto, qualunque sia l’uso del post. Potrei aggiungere che del senno del post sono piene le fosse e le pozzanghere».

Con una crisi evidente degli Stati nazionali. Crescono localismi, regionalismi, Catalogna a parte anche il Veneto vuol essere autonomo, la Lombardia segue a ruota. La rincorsa è ai localismi, non ai globalismi.

«Viviamo un ciclo di grande regressione, quello attuale è un momento molto pericoloso, l’elaborazione politica è assente o comunque molto, molto debole. Ma il piccolo è proprio piccolo, non bello».

Perché cresce nel mondo l’attualità del pensiero di Gramsci?

«Resta il pensiero più ricco e completo aperto verso il futuro fra tutti i pensatori politici del ventesimo secolo. Ma il fatto che dilaghi la fortuna del pensatore di Ales non corrisponde sempre alla comprensione e alla utilizzazione più appropriata del suo pensiero».

Gramsci ha previsto le grandi crisi del Novecento.

«Ha capito le grandi derive. Ha elaborato in forme nitide le cause della prima guerra mondiale e della grande depressione degli anni Trenta. Quel mondo aveva in pancia quello successivo – cioè “l’americanismo”, lo “Stato nuovo” fascista, il comunismo sovietico – ed era per Gramsci la risposta alla crisi del vecchio ordine mondiale generata dalla grande guerra».

Potremmo azzardare una previsione della crisi degli anni Duemila?

«Il nostro mondo attuale è radicalmente diverso per l’aspetto tecnologico. Innanzitutto, la globalizzazione digitale continua a sconvolgere in varie forme tutti gli equilibri precedenti: nel mondo del lavoro, delle imprese, della finanza, dei mass media, di scuola e famiglia, dello stesso rapporto tra sessi, dell’educazione in senso lato, della vita individuale».

Nel libro lei sostiene che Gramsci procede a una revisione radicale del marxismo. E dà vita a un nuovo pensiero con la politica letta come lotta per l’egemonia, la «rivoluzione passiva» è letta come paradigma storiografico della modernità.

«Aggiungo: nella modernità compiuta o matura che, sempre ragionando con Gramsci, possiamo datare al Novecento. Soprattutto dalla grande guerra in poi, innanzitutto nell’Occidente, non ci sono più gruppi sociali e masse estranee alla vita politica. In questo senso la revisione del marxismo è radicale. Dal punto di vista della storia mondiale, che costituisce l’ottica di Gramsci, i gruppi sociali progressivi erano le classi lavoratrici. Ma la storia precedente e contemporanea delle classi lavoratrici evidenziava a Gramsci che non erano capaci di proporre una soluzione dei conflitti che generano guerre o delle crisi che generavano depressione. Quindi anche quelle classi lavoratrici non rappresentavano l’aurora in un mondo nuovo».

Classi lavoratrici deboli, quindi. Ma si poteva chiedere loro la previsione del mondo che sarebbe venuto? Le classi cosiddette dirigenti dov’erano?

«Bisogna solo prendere atto della realtà. Quelle classi, contrariamente quanto pensava Karl Marx, non erano, né forse potevano essere, dei competitori reali, egemonici delle classi dominanti le quali, invece, erano nelle condizioni di assumere alcune istanze delle classi subalterne riorganizzando la società e il potere ai fini del loro dominio. Non solo. Questa dinamica nella storia del Novecento e già in parte dell’Ottocento europei e americano è proprio quella che Gramsci, con grande intuizione, chiama rivoluzione passiva elaborando un nuovo criterio storiografico».

Gramsci vede lontano, dedica molta attenzione al cosiddetto americanismo. Perché?

«La americanizzazione dell’Occidente, dell’Europa sulle basi del fordismo e del New Deal che Antonio Gramsci vede all’inizio del loro manifestarsi, è un fenomeno eminentemente progressivo perché crea condizioni nuove allo sviluppo possibile della democrazia e perfino del socialismo. Per questi motivi Gramsci analizza molto quel fenomeno».

Oggi alla Casa Bianca c’è Donald Trump. Che cosa rappresenta?

«Non è se non una delle manifestazioni più clamorose di quella che Gramsci definitiva una “età della crisi nella quale il vecchio muore ma il nuovo non può nascere” e quindi si verificano i fenomeni politici più morbosi».

Nella sua introduzione lei cita due studi su Gramsci, quelli di Giancarlo Schirru e di Alessandro Carlucci. Il motivo.

«Schirru, giovandosi di una conoscenza approfondita del pensiero di Gramsci, della glottologia contemporanea e della storia del comunismo, ha messo sul binario giusto il problema del rapporto tra il pensiero politico e la formazione linguistica di Gramsci. L’interesse giovanile per la linguistica aveva in Gramsci un carattere spiccatamente politico. Le discussioni di fine Ottocento erano connesse ai temi delle nazionalità che avrebbero impegnato tanto il liberalismno quanto la socialdemocrazia a ridosso della grande guerra».

Temi sui quali ritorna Carlucci.

«Ha scritto una monografia nella quale reimposta tre questioni nodali per la biografia politica, intellettuale e umana di Gramsci: l’incontro col pensiero di Lenin e il bolscevismo, l’influenza della glottologia italiana ed europea nella sua formazione e, soprattutto l’importanza delle sue origini sarde».

Lei scrive che Gramsci non è stato un teorico della democrazia.

«Certo. Ma è difficile negare che Gramsci abbia individuato i problemi fondamentali dei nostri tempi e indicato una prospettiva per risolverli».

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