La Nuova Sardegna

La lingua sarda bussa alle porte dello Zingarelli

di Luciano Piras
La lingua sarda bussa alle porte dello Zingarelli

Anche il termine “paradura” ha preso piede in Italia. Il prossimo passo sarà l’ingresso nel mondo digitale

25 novembre 2017
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E’ questione di tempo, uno o due anni forse, e anche il termine “paradura” entrerà nell’Olimpo delle parole italiane acquisite dal sardo. Da quando Gigi Sanna e il resto degli Istentales hanno messo in moto la macchina della solidarietà isolana ai pastori abruzzesi terremotati (donando loro mille pecore), il vocabolo della terra dei nuraghi ha fatto e continua a fare il giro d’Italia. Paradura: «rinnovamento di un gregge (per chi lo ha perso per detenzione carceraria, ecc., o per distruzione del suo per incendio, folgorazione, ecc.). Paratura, riallevamento, allevamento, prestazione sociale d’aiuto. Pure riposo, pausa, sosta» è la definizione che ne dà il “Bocabolariu sardu nugoresu-italianu” di Luigi Farina (Edizioni Il Maestrale, 2002). «Ormai “paradura” è una parola che fa parte del linguaggio comune della gente – dice il frontman degli Istentales –. Noi l’abbiamo soltanto riportata alla luce, ma avrebbe meritato la ribalta mediatica già da molto tempo prima» chiude il cantante pastore barbudo Gigi Sanna. Che da una vita scrive e canta canzoni in sardo, «sa limba nostra», benché diversi suoi brani siano in italiano.

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Uno scenario in continua evoluzione e contaminazione che non mancherà certo di attirare le attenzioni di Mario Cannella e Beata Lazzarini, i due lessicografi che ogni anno curano l’edizione aggiornata dello Zingarelli, il vocabolario della lingua italiana pubblicato dalla Zanichelli che stavolta ha appena inserito tra le new entry il termine “carasau”.

Carasàu: «dal sardo “carasare”, tostare, perché dopo la cottura si ripassa nel forno; tipo di pane sardo a forma di disco molto sottile e croccante, adatto a essere conservato a lungo; cartamusica».

Una parola sarda, dunque, ora ribattezzata ufficialmente italiana tra le mille di varia provenienza acquisite quest’anno, come “Brexit”, “ciclostazione”, “coparentale”, “dronista”, “flaggare”, “hater”, “nikefobia”, “photo opportunity”, “post-verità”, “Spannung” e “sviluppismo”. Il sardo, del resto, aveva già contribuito in passato alla crescita della lingua di Dante con altre parole: “malloreddus”, “guttiau”, “porcheddu-porceddu”, “sevada” e “cannonàu”, per esempio, per restare in ambito culinario, ma anche “nuraghe”, “tanca”, “ademprivio” (anche se il Treccani online lo fa risalire allo spagnolo “adempribio” mentre il dizionario Garzanti dà per certa l’etimologia dal sardo “adempríviu”).

«Bello, bello che nel vocabolario italiano ci siano queste parole sarde – dice Maria Antonietta Piga, nuorese, operatrice dello Sportello linguistico regionale a Cagliari –. Significa che siamo stati bravi a comunicare la nostra specificità e specialità, a partire dai prodotti tipici. Ma ancora più bello sarebbe che siano, prima di tutti gli altri, i sardi stessi a capire che abbiamo una lingua bellissima e che è la nostra lingua il miglior veicolo della nostra cultura» sottolinea.

Conduttrice del Telediariu, il Tg in limba dell’emittente Telesardegna, Maria Antonietta Piga auspica «più coraggio da parte dei sardi nell’usare il sardo senza alcun timore o retaggio in tutte le situazioni e in qualsiasi occasione».

«Per essere forte, la lingua sarda deve entrare in tutte le realtà» conferma Gianfranco Fronteddu, studente del corso di laurea magistrale in Traduzione specialistica dei testi della facoltà di Studi umanistici dell’università di Cagliari. Fronteddu, 29 anni, di Oliena, parla sei lingue: sardo, italiano, catalano, spagnolo, basco e inglese. «Il sardo per essere forte deve entrare a pieno titolo nel mondo digitale e amministrativo e deve avere lo stesso valore legale dell’italiano» sottolinea.

È lui, Fronteddu, che assieme a Hèctor Alòs i Font (Universitat de Barcelona) e Francis Tyers (School of linguistics di Mosca), e con la collaborazione di Adrià Martín-Mor (Tradumàtica research group), ha appena sviluppato un traduttore automatico, sulla piattaforma Apertium, catalano-sardo e una nuova versione italiano-sardo dopo il primo esperimento di qualche anno fa. Un progetto finanziato da Google tramite il programma Google Summer of Code 2017. «Soprattutto i software open-source, ossia a codice aperto – spiega ancora Gianfranco Fronteddu – possono aiutare il sardo. Siamo sulla buona strada, non c’è dubbio, stiamo passando da una situazione di folclore a una realtà più moderna e dinamica, anche se resta ancora molto da fare».

Tutto dipende dallo standard della lingua, sa limba sarda comuna. «Avere un solo standard è fondamentale – assicura –, averne due o tre fa perdere forza a tutti, fermo restando che ognuno continuerà a parlare la propria variante. Certo è che lo standard non è perfetto, è sempre perfettibile, ma altrettanto certo è che resta fondamentale, soprattutto a livello ortografico».

Scrivere tutti “paradura”, insomma, non impedisce a nessuno di continuare a dire “paratura” come si usa in certe zone dell’interno. «Had una deghina de ’arveghes fattas a paradura (ha una decina di pecore che ha raccolto in dono da altrettanti pastori)» segnalava già negli anni Quaranta del Novecento il parroco di Berchidda Pietro Casu nel suo “Vocabolario sardo logudorese-italiano” pubblicato postumo soltanto nel 2002 (a cura di Giulio Paulis per le Edizioni Ilisso).


 

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