La Nuova Sardegna

Sassari, una città meticcia: la piccola Africa tra i vicoli

di Nello Rubattu
Sassari, una città meticcia: la piccola Africa tra i vicoli

Nel vecchio centro lo scrittore Nello Rubattu raccoglie on the road le voci dei migranti

25 novembre 2017
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Matongué è un quartiere di Bruxelles. Si trova in quella parte di città che tutti considerano elegante. Intorno a questo quartiere trovate molti uffici pubblici, cinema, teatri, ristoranti di pregio ed è laterale all’Avenue Louise, la via Montenapoleone dei belgi. Matongué è abitata da africani, nella maggior parte congolesi, burundesi e ruandesi. Se uno vuole farsi le treccine con i suoi capelli al naturale o applicarsi le classiche extensions, viene in questo quartiere; se vuole acquistare un tessuto o un abito, o un prodotto dell’artigianato africano, viene sempre da queste parti; se vuole mangiare pollo mwambe o piri piri, pesce di acqua dolce al sentore di cocco, o va matto per i dolci fritti o per il FuFu dei ghanesi, beh, la sera lo troverete nella via dei ristoranti del quartiere che rimangono aperti fino a notte fonda. Si va con la famiglia, con la ragazza o con gli amici. In quei locali la colonna sonora nella maggior parte dei casi sa di musica congolese. Perché sono i congolesi che hanno inventato la Rumba.

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A RITMO DI MAMBO. Questo ritmo è lo stesso che sentirete a Cuba, in tutto il Sud America o nei film con Ava Gardner che però preferiva quella in versione catalana, più caciarona e allegra. A Matongué di questa musica apprezzano le varianti del Soukus o del Lingala, perché usano chitarre più dolci, allegre, più fluide nei toni alti. «Accompagnano la vita», diceva Papa Wemba, un musicista africano che ha lasciato i suoi fans proprio durante un concerto in Costa d’Avorio. La rumba congolese si suona senza essere invadenti, serve a far pensare. Come il Mambo, che dal Congo continua a fare il giro del mondo.

I DOLCI DI CAPITTA. A Sassari abbiamo la nostra Petite Afrique. Una cosa che somiglia molto alla Matongué di Bruxelles. Si trova nella parte bassa del Corso: comincia all’altezza del negozio di dolci di Capitta per finire in piazza Sant’Antonio. A proposito: da Capitta cercate i croccanti. Dolci che hanno attraversato la mia infanzia, come quella dei sassaresi della mia età. Per ritornare alla Petite Afrique in questo tratto di città potrete assaporare i profumi, i cibi e le mode che oggi la fanno da padrone nel grande Continente. Andateci. Vi sembrerà di fare un viaggio. E’ come se un aereo vi avesse sbarcato a Lomé, ad Accra, a Abidjan. Forse eravate addormentati e qualcuno perché vi vuole bene vi ha fatto un regalo.

Nella Petite Afrique di congolesi ce ne sono pochi: di più i nigeriani, i camerunesi e i senegalesi.

I VERSI DI SENGHOR. Non vi stupite, comunque, per il nome che mi sono permesso di dare a questa parte dell’antica strada medioevale che per secoli ha ospitato i palazzi delle famiglie della noblesse cittadina; Petite Afrique la chiama così Amadou, un mio amico venditore ambulante senegalese, con il quale ogni tanto mi fermo a chiacchierare. Conosce Leopold Sèdar Senghor, il poeta della negritudine, uno dei grandi del ventesimo secolo e accademico di Francia.

Amadou abita a Sassari al secondo piano di un palazzo in via San Sisto e veste con abiti di una eleganza strepitosa. Sa cosa vuol dire “ajò” e se qualcuno gli spara una fesseria in sassarese è capace di rispondere a tono. Lo dico perché cominciare a pensare in termini di contaminazioni è un fatto opportuno per tutti. Nel Cinquecento, la nostra città veniva descritta dai vescovi aragonesi in visita pastorale, come un posto dove si parlava una imbarcata di lingue: catalano, spagnolo, sardo, francese, corso e occitano. In quel periodo Sassari era una popolosa città europea a tutti gli effetti, con una propria costituzione: gli statuti del libero comune di Sassar servirono perfino agli Arborea.

IMBOCCALUPO STORE. Se percorrete la Petite Afrique troverete comunque di tutto: oltre a diverse comunità africane, non mancano i bengalesi con le loro piccole botteghe o i negozi cinesi, quelli pakistani, gli indiani e un folto gruppo di sudamericani con le loro botteghe vicino ai circolini dei sassaresi. E il circolo di Gianfranco non fa una grande fatica a convivere con la macelleria di Mohamed che vende cibi Halal, macellati a Ozieri. Lui e bengalese e per un fatto religioso (un po’ come per gli israeliti e le loro regole per i cibi kosher) vende alimenti super sicuri. Lì vicino trovate anche un emporio pakistano “Inboccallupo” e uno indiano. Se nei vostri viaggi avete mai gustato la fragranza del pane chapati, qui lo potete acquistare. Insieme all’ildli, un pane di farina di riso e pastella di lenticchie nere. Se volete qualcosa di dolce troverete lo shirmal: focaccine ottenute impastando farina, latte, zucchero, sale e burro chiarificato; oppure cercate il lucchi, i panini fritti del Bengala, di farina impastata, semolino e semi di finocchio.

STOFFE E ARGENTI. Non mancano i vestiti e le stoffe kutchi e i patchwork rivisitati nei laboratori del Rajasthan, uno Stato del Nord dell’immenso subcontinente. Difficile restare insensibili al fascino dei tessuti stampati con la tecnica del blockprint e lavorati alla maniera khadi che ricorda il nostro lino o con quella del mal, ricca di intrecci. Sono stoffe che poi servono per i sari femminili in cui non mancano mai delicati inserti d’oro e d’argento.

GRAN BOUBOU. Ma sono gli abiti dei senegalesi quelli che vi affascineranno quando passate nella Petite Afrique. Joseph ogni giorno indossa un sabador diverso: sono pantaloni ampi e comodi da abbinare al “Gran boubou” – una sopraveste molto lineare che si ferma alle caviglie – elegante nella sua essenzialità, con maniche molto ampie e comode. I boubou delle donne sono invece molto più elaborati e ricavati da stoffe dai colori sgargianti e dalle fantasie pittoriche uniche. Vere e proprie raffinatissime opere d’arte. Nella maggior parte dei casi, la stoffa è il bogolan, che è un tessuto di cotone dipinto con una lavorazione molto particolare che loro chiamano wax. Una tecnica arrivata in Africa con gli olandesi, che a loro volta si rifacevano al batik degli indiani.

MAISON DAKAR. Sta di fatto che i risultati finali sono affascinanti. Non per niente Dakar, la capitale del Senegal, è anche la capitale della moda africana. Fa tendenza. Molti couturier lavorano per le firme internazionali della moda. Non c’è nessuna grande maison del mondo del lusso internazionale che si fa mancare la loro consulenza. Lo stesso succede con le industrie dell’arredamento dove la stoffa è un fattore importante per il successo di una linea di prodotti. Questo produce il fenomeno per cui ogni anno in buona parte dell’Africa si aspettano le sfilate di Dakar per capire come si devono vestire.

Lungo questa parte del Corso non mancano i negozi dei nigeriani, che vendono prodotti che in nessun’altra parte della città potrete mai trovare. Andate ad esempio all’African Shop, dove – a parte i cosmetici che soddisfano la popolazione femminile del quartiere – arriva anche la birra Karma, una birra a bassa gradazione, dal colore ambrato, impreziosita da un aggiunta di polvere di fave di cacao e cioccolata fondente dal gusto particolarmente piacevole.

FUFU E GARRI. I nigeriani del Mummi and Daddi’s Corner hanno una cucina dove la parte importante la fanno i brodi vegetali. Brodi che accompagnano le varie pietanze a base di pesce, di carne e di verdure. Ma vanno bene anche per il fufu e il garri. All’african shop potete invece trovare le foglie dell’uzaki, un rampicante, quelle dell’atma, un’erba annuale coltivata nel delta del Niger che somiglia al nostro dragoncello. Gli avocado vengono consumati spesso con i fagioli dall’occhio e la banana è alla base di molte loro preparazioni. La foglia dell’ebiripo quando è fresca, viene preparata strizzata per sformati a base di spinaci. Senza dimenticare la manioca che diventa fondamentale in vari impasti, insieme alla noce di cocco, o al fufu che si possono combinare con il mais dolce . «A Sassari – ricorda Cesare – forse qualcuno fatica a pensare che il resto del mondo è sempre più parte del nostro quotidiano. Sbaglia, ma sono fatti suoi». Cesare è stato sposato con una ragazza nigeriana con la quale ha avuto una figlia. E’ molto bella. È fidanzata con un ragazzo della sua età. Un bel “masciottone” delle nostre parti. Se per caso si dovessero sposare e si mettessero in testa di fare dei figli, sicuramente ne verrebbero fuori dei buoni prodotti. I minestroni, si dice, fanno bene alla salute. E la bellezza basta per metà del lavoro.

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