La Nuova Sardegna

«Le mie foto tra Sessantotto e Sardegna»

di Antonio Mannu
«Le mie foto tra Sessantotto e Sardegna»

Uno dei grandi maestri della fotografia al festival “Storie di un attimo” con una mostra sulle lotte operaie e studentesche

01 dicembre 2017
5 MINUTI DI LETTURA





«Non ci sarà pace all’Alfa finché Atzeni non entra in fabbrica»; «Agnelli e Pirelli ladri gemelli»; «Impiegati non vivete alle spalle degli operai». Slogan dell’autunno caldo che erompono dalle fotografie di Uliano Lucas, esposte ad Olbia per la mostra “68, un anno di confine”, una proposta di “Storie di un attimo”, festival popolare della fotografia. Immagini che raccontano lotte operaie, scontri di piazza, l’occupazione delle case. E la guerriglia anti colonialista nelle foreste della Guinea Bissau, incarnata dal sorriso di due donne militanti del Paigc, organizzazione per l’indipendenza della Guinea e Cabo Verde. Cinquant’anni fa c’erano ancora colonie europee in Africa. E’ bene ricordare, di questi tempi, i fatti della storia. Le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, i campi profughi in Giordania nel settembre nero del 1970.

C’è la Storia nelle immagini di Uliano Lucas, del nostro paese e di altri luoghi. Nato a Milano nel 1942 Lucas si forma frequentando l’ambiente intellettuale del quartiere di Brera, luogo di incontro per artisti, scrittori, giornalisti e fotografi. E’ uno dei più giovani avventori del bar Giamaica, frequentato da tanti protagonisti della fotografia italiana. Comincia a lavorare concentrandosi sulla città, fotografa le atmosfere, la vita quotidiana, i fermenti della scena musicale e teatrale. Poi arriva il 68 e tutto cambia. Anche il suo approccio alla fotografia. «Fu un’accelerazione, una modernizzazione che investì anche il mio modo di guardare e raccontare. Dalla Leica passai alla Nikon. In questa scelta vedo racchiusa l’irruenza di quell’epoca, la spinta data a una fotografia non più voce isolata, ma parte di un movimento di rinnovamento della società, e perché no, di se stessi». Sabato scorso, in un incontro dal titolo “Cronache del Novecento”, Lucas ha presentato una straordinaria carrellata di immagini, accompagnate da illuminanti riflessioni sulla fotografia, l’informazione, la società, le nuove frontiere e prospettive della comunicazione visiva.

Cosa è per lei la fotografia?

«Una straordinaria invenzione della modernità che nasce insieme all’industrializzazione. Uno strumento nuovo che permette di raccontare il mondo, si diffonde velocemente e ne diventa la memoria. Per me è stata la salvezza, una grande avventura iniziata da giovanissimo. Ero un ragazzo turbolento, problematico. Il fatto di impossessarmi di uno strumento, di entrare in un mondo affascinante che mi ha permesso di stare con le persone, di capire, di capirmi, in qualche modo è stata una forma di auto analisi».

Oggi il foto giornalismo è in crisi. E’ una situazione globale ma forse nel nostro paese la crisi è più profonda.

«In Italia il foto giornalismo ha avuto uno sviluppo anomalo. Abbiamo avuto vent’anni di fascismo, siamo stati tagliati fuori da tanta parte di quelle che sono state le avanguardie artistiche europee. All’indomani della liberazione succede un fatto singolare: inventiamo i rotocalchi familiari, che utilizzano una fotografia povera. E inventiamo anche il fotoromanzo, che nasce a Parigi ma per opera di un italiano fuoriuscito. Poi è in Italia che si sviluppa. Ci sono i giornali come il Mondo o l’Espresso. E’ una storia affascinante che funziona finché il mezzo regge. Attualmente la fotografia è in una sorta di stasi. Occorre reinventarla all’interno di nuovi sistemi di comunicazione, utilizzando le opportunità aperte dalla rete».

Come reinventarla? Quali i percorsi?

«Potrebbero essere diversi. Oggi viviamo all’interno di una globalizzazione dove il racconto deve essere un tutt’uno. Le mie fotografie devono entrare in un sistema per cui alla sera un signore di Sidney o di Melbourne le può vedere, le guarda. Quindi devono avere caratteristiche che rispondano anche alla sua storia, al suo sguardo. Non è una cosa semplice da costruire. Significa lavorare a lungo sui linguaggi, la scrittura, la grafica, la fotografia. Ma che tipo di scrittura, di grafica, di fotografia? Che tipo di impaginazione? Siamo all’anno zero. Credo che quando si comincerà a ragionare, a risolvere i problemi, in rete entreranno degli straordinari racconti fotografici».

Gli “Stati generali della fotografia” che si tengono oggi a Cagliari sono un’ iniziativa del ministero per i Beni Culturali per adattare l’intervento pubblico ai cambiamenti del mondo dell’immagine fissa, favorendo nuove opportunità per la fotografia italiana. Cosa ne pensa?

«E’ una vita che sento certi discorsi. Se si dovessero tramutare in intenzioni serie e concrete, dico va bene. Da addetto ai lavori ho però la percezione che non cambierà nulla e si farà poco. In Italia non ci sono luoghi dove ci si occupa seriamente di fotografia, di raccogliere un patrimonio documentale straordinario, di conservare gli archivi dei fotografi. Conosco almeno venticinque archivi di fotografi straordinari custoditi in case private, da familiari che non hanno forza e risorse per fare il necessario. Il primo problema da affrontare è comprare questi materiali, digitalizzarli, catalogarli, ragionarci. Comprare gli archivi dei giornali, che spesso sono mal conservati, dentro scatole di cui non si conosce il contenuto. In Francia c’è un ministero che compra gli archivi dei fotografi, riconosce un valore economico all’opera di chi ha praticato la fotografia come impegno quotidiano, di lavoro. Poi si può discutere delle grandi mostre, della Fotografia, dell’identità. Ma il primo passo da fare è questo. Se non si fa si stanno solo spendendo parole e soldi che non porteranno particolare beneficio alla fotografia e ai fotografi. Ho partecipato al primo di questi incontri, ho espresso i miei dubbi. Ho l’impressione che prevalga una visione museale della fotografia. Ma la fotografia vive se è visibile, su una pagina, in rete, per strada. Sennò diventa un’opera, un’opera d’arte? Ma è un’altra cosa, un’altra storia. Non è all’interno di un tentativo di racconto di una realtà viva».

Frequenta la Sardegna?

«Il rapporto con l’isola parte dagli anni 60. Ho tanti amici, ho sempre frequentato San Sperate, dove vivevano Pinuccio Sciola e Pablo Volta. Ci si incontrava, più o meno ogni due mesi, spesso c’era Mario Dondero. Si rifletteva sulla necessità di raccontarla questa terra straordinaria. Ho tentato di farlo, ma soprattutto il mio interesse è stato viverla».

In Primo Piano
Lo schianto

Tragedia nel Bresciano: 60enne originario di Sorso muore in un incidente stradale

di Salvatore Santoni
Le nostre iniziative