La Nuova Sardegna

Lerner: «La sconfitta del lavoro»

di Angiola Bellu
Lerner: «La sconfitta del lavoro»

Il giornalista parla sul suo nuovo libro inchiesta: “Concetta, una storia operaia”

05 dicembre 2017
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È appena arrivato in libreria “Concetta. Una storia opearia” (Feltrinelli, 172 pagine, 15 euro), il libro inchiesta in cui Gad Lerner racconta e denuncia la degenerazione delle relazioni nel mondo del lavoro attraverso la vicenda di una donna, Concetta Candido, che nel giugno 2017 si è cosparsa di alcol e si è data fuoco nella sede dell’Inps di Torino Nord. Concetta è un’ex addetta alle pulizie alla Befed, grande birreria di Settimo Torinese. Licenziata, rimasta senza buona uscita e senza sussidio di disoccupazione per disguidi burocratici, Concetta ha scelto il fuoco come estrema protesta. Il fuoco era arrivato 10 anni prima a Torino con l’atroce rogo alla Thyssen Krupp. Gad Lerner segue il filo rosso che unisce storie diverse e ci restituisce un quadro drammatico, che riguarda tutti.

Lei racconta che le persone che si danno fuoco – cita anche l’inizio delle Primavere arabe con l’autoimmolazione di Bouazizi in Tunisia – seguono un rituale che si rivolge alla comunità.

«Dialogo spesso con Concetta ancora in riabilitazione con la tracheotomia. Se c’è una cosa su cui lei torna con insistenza è il rifiuto che il suo gesto sia fatto passare come un semplice tentativo di suicidio, un dramma privato. Il suo va riconosciuto, invece, come un gesto pubblico, una forma di protesta sociale che subentra quando si ha la sensazione che si sia completamente perduto un senso di comunità, di solidarietà collettiva».

Il sindacato non esiste in questa vicenda.

«Se fosse stato attivo nella birreria Befed, che ha oscillato tra l’avere tra i 60 e i 100 dipendenti, in una struttura da azienda media, le cose sarebbero andate diversamente. Constato che veniva considerata inutile e addirittura nociva la presenza di un sindacato lì dentro. Si è pensata più proficua una fantasia di architetture societarie per creare cooperative fittizie presiedute dalla moglie del titolare. Credo che questa storia dimostri quanto sia sbagliato pensare che la disintermediazione dei rapporti tra i titolari di un’azienda e i dipendenti sia vantaggiosa per entrambi le parti».

Lo sfondo della vicenda è la stessa Torino in cui dieci anni fa ci fu un altro rogo, quello alla Thyssen Krupp. Cosa unisce queste storie?

«Il rogo della Thyssen Krupp è un fatto vergognoso che resterà impresso nella memoria della città operaia. E’ come se si fosse detto in pubblico: “Voi operai non contate niente rispetto alle nostre strategie aziendali. Non spendiamo più soldi per la manutenzione perché puntiamo su Terni e sull’India e su questo non accettiamo discussioni. La sicurezza infortunistica non è una priorità: noi manager rispondiamo soltanto agli azionisti”».

In che modo il caso Thyssen Krupp si lega alla vicenda di Concetta?

« Il processo di frantumazione della comunità operaia nel decennio intercorso tra il rogo della Thyssen Krupp e l’auto immolazione di Concetta si è molto accelerato: c’è l’idea che ciascuno sia solo di fronte al gigante della burocrazia Inps come di fronte alla capacità fantasiosa dei datori di lavoro nella gara al massimo ribasso, al subappalto. Le reti sostitutive delle comunità reali – i social network – fanno sì che Concetta possa avere tanti amici su Facebook, ma non ricevere uno straccio di telefonata di solidarietà dai suoi ex colleghi di lavoro».

Come e perché ha deciso di fare questa inchiesta?

«Potrei risponderle in sintesi che è il mio umile e modesto contributo al dibattito sulla crisi della sinistra e sulla sua incapacità di dare rappresentanza politica alle classi subalterne. Nel corso dell’ultimo quarto di secolo la sinistra ha visto più che dimezzati i consensi nel mondo del lavoro. E credo che dobbiamo ciò a storie come quella di Concetta, che mi è parsa potentemente simbolica. Ho avuto la fortuna di entrare in una relazione affettuosa e solidale con suo fratello Giuseppe e con lei dopo il risveglio dal coma. Sin dal nostro primo colloquio Concetta mi ha raccontato della sua vita, della fabbrica, di Torino. Con la mia inchiesta su Rai 3, “Operai’”, avevo già incontrato situazioni analoghe: ad esempio impiegate di imprese di pulizie a Genova che prendevano 40 euro al mese e non rompevano il contratto nella speranza di averne, prima o poi, uno a tempo indeterminato. Ho pensato a loro quando ho letto la notizia di Concetta e questo ha fatto sì che non ci passassi sopra».

Interessante la lettura religiosa dell’accaduto fatta da uno dei due soccorritori che hanno salvato la vita a Concetta, un musulmano. Lettura che si incrocia con la fede cristiana di Giuseppe. Alla mancanza di solidarietà politica subentra il credo religioso?

«Siamo lontani dalla politica e quindi la fede delle persone coinvolte conta di più. Giuseppe vuole assegnare un significato provvidenziale al fatto che a Concetta il Signore abbia dato, col libero arbitrio, la possibilità di auto infliggersi il supplizio del fuoco, facendola salvare da un musulmano e facendo sì che un ebreo, che sarei io, intervenisse al fianco della famiglia cattolica. Porto rispetto per queste convinzioni, ma non le condivido; sono anch’esse il frutto del divorzio tra la politica e questa classe operaia».

Come vede il futuro?

«Non sono pessimista. Credo che le plebi disperse di oggi torneranno abbastanza presto a diventare classi, comunità organizzate».



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