La Nuova Sardegna

«La mia Asinara magica vista alla luce della luna»

di Antonio Mannu
«La mia Asinara magica vista alla luce della luna»

Venticinque fotografie e i testi di Eoardo Albinati per raccontare la bellezza di un’isola

09 dicembre 2017
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«Asinara» è una mostra di Marco Delogu nata da un progetto della Fondazione di Sardegna. Venticinque fotografie a colori esposte, sino al 28 febbraio, nella sede cagliaritana della Fondazione, in via San Salvatore da Horta. Delogu, nato a Roma, ha origini sarde. Ha lavorato come fotografo per anni, alternando la professione in studio a progetti fotografici che lo hanno portato a esplorare contesti diversi. Dal Vaticano a Rebibbia, dalla Maremma toscana alle antiche paludi pontine, all’umanità che ruota intorno al Palio di Siena. Attualmente dirige l’Istituto italiano di cultura di Londra. La sua ricerca si concentra su ritratti di gruppi di persone con esperienze o linguaggi in comune: cardinali in pensione, carcerati, compositori di musica classica contemporanea, i contadini che bonificarono l’Agro Pontino, i fantini del Palio di Siena, una famiglia rom, ex-condannati a morte in USA. Negli ultimi anni i suoi progetti si sono maggiormente concentrati sulla natura, nelle differenti declinazioni di un’attenzione che si sposta dall’uomo a ciò che lo circonda. Nel 2002 ha ideato “FotoGrafia. Festival internazionale di Roma”, di cui è il direttore artistico. Festival che ha visto la partecipazione dei più importanti nomi della fotografia contemporanea.

Ha scelto lui di lavorare all’Asinara, la proposta della Fondazione aveva una sola condizione: lavorare in Sardegna.

Perché l’Asinara?

«Perché è un luogo geograficamente circoscritto; perché, pur avendone sempre sentito parlare, non la conoscevo. Mi interessava visitare un luogo sconosciuto che mi era stato raccontato come un giacimento di dolore, carcere, lazzaretto, campo di prigionia, e al tempo stesso di grande bellezza, sin da quand’ero bambino. Ho subito pensato di coinvolgere Edoardo Albinati, per la qualità della sua scrittura e l’interesse per i temi della carcerazione e del dolore. Albinati insegna da 25 anni a Rebibbia e avevamo già collaborato. Abbiamo operato in autonomia, lui è stato all Asinara a luglio, io ad agosto, una scelta dettata dal bisogno di rispettare le identità. Volevo che la sua lingua, la sua parola, fossero una cosa, le mie fotografie un’altra. Il suo testo è in due parti: una racconta il sublime dell’Asinara, una è dedicata alla lettura delle mie immagini, che ha visto solo dopo aver scritto sull’isola. Ho lavorato con la luna piena d’agosto, fotografando per 5 notti e 1 giorno, sono molto soddisfatto del risultato: in genere sono piuttosto critico con le mie fotografie. E’ un lavoro che arriva in un momento particolare; recentemente ho perso mia madre, Luisa Selis, a cui è dedicata una borsa di studio a sostegno di ricerche antropologiche sulla Sardegna. E son diventato padre. Penso molto alla fotografia ma realizzo poche immagini. Anche perché da qualche tempo, per la prima volta in vita mia, ho un lavoro “vero”: vivo a Londra dove dirigo l’Istituto Italiano di Cultura. Mio figlio Sebastiano e mia moglie Lorenza sono stati con me all’Asinara. Anche questo elemento intimo sta dentro il lavoro. Passavo la giornata con loro e la notte con l’isola».”

Chi le ha parlato tanto dell’Asinara?

«Le mie origini sono in Sardegna, un mio nonno ha costruito il carcere di Castiadas, mio padre era sassarese, una persona impegnata politicamente e socialmente. Nelle conversazioni, in famiglia, si toccavano certi temi, di carcere si parlava spesso, di Badu e Carros, di altri luoghi di dolore come l’ospedale psichiatrico di Sassari, e di Asinara. Poi un caro amico dei miei genitori era l’avvocato Giannino Guiso, che ha difeso Curcio e Cutolo, visitava spesso l’isola e ne parlava. Quando ho lavorato a Rebibbia ho incontrato dei detenuti che c’erano stati, come Concutelli e Panizzari. E altri racconti: una giornalista di Repubblica intervistò me e Albinati: ci parlò della rivolta brigatista sull’isola, guidata da Giuliano Naria, della decisione di non uccidere Concutelli e Mario Tuti, per evitare che i media parlassero di quello e non della condizione carceraria».

Cos’è per lei la fotografia?

«Tutto. Tutto è legato alla fotografia, ma non sono ossessivo. Mio figlio è molto importante, i legami emotivi lo sono altrettanto. La fotografia è il modo in cui vedo il mondo, con una certa tranquillità, non in modo compulsivo e non ho mai fotografato tanto. Non portavo la macchina con me se non quando decidevo di fare fotografie. Poi in fotografia non sono mai sicuro, ma non sono arrivato all’Asinara con l’ansia di dover dare conto alle aspettative di un committente. Al tempo stesso non ho mai pensato: adesso è fatta! Ho camminato per l’isola, dalle 10 di sera alle prime luci dell’alba, dopo aver fatto delle ricognizioni diurne per vedere i luoghi. Guidato dalla luce della luna, dall’idea di ogni singola foto e della narrazione complessiva».

Che tipo di narrazione?

«Arrivi all’Asinara, c’è così tanto, le due coste così diverse. Un silenzio che è raro. La narrazione che cercavo serviva a capire quanto c’ero io e quanto c’era la storia dell’isola. Anche il suo futuro. E il rapporto tra le costruzioni umane, non solo gli edifici, ma le modificazioni sul territorio».

Quando abbiamo visto, in rete, alcune di queste fotografie, siamo rimasto perplesso. Ora, visto il lavoro stampato, esposto, acceso dall’illuminazione, piace. L’Asinara è l’isola che si sogna, anche se prende forme diverse. C’è questa qualità onirica nelle sue fotografie?

«Non penso, non tanto. Avevo bisogno di una qualità dell’aspetto del colore che non trovavo con la luce diurna e lo spostamento nella notte nasce da vari fattori: la necessità di solitudine, il fascino della luce lunare, la fisicità. Scatto a mano libera, la risposta corporea è nella fotografia: il mosso, l’apnea, la stanchezza. Sono d’accordo con chi dice che il lavoro non convince se visto in maniera impropria. E’ poco proponibile in rete, va visto materialmente e nella sua interezza, sennò non ha senso. Se avessi stampato altrove, con una carta diversa da quella pensata, con formati di stampa differenti da quelli utilizzati, verrebbe fuori un’altra cosa, penso deludente. Ma non dimenticherò mai il cielo solcato di nubi della notte trascorsa sotto Punta Scorno».



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