La Nuova Sardegna

«Una speranza per il diabete, flagello della Sardegna»

di Paolo Curreli
«Una speranza per il diabete, flagello della Sardegna»

Il diabete di tipo 1: una maledizione scritta nel Dna. Parla Paolo Fiorina dell’Istituto Invernizzi di Milano

09 dicembre 2017
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La maledizione si chiama diabete, la Sardegna insieme alla Finlandia detiene il primato della più alta diffusione in Europa del diabete di tipo 1, quello che colpisce prevalentemente i bambini e gli adolescenti. Negli Stati Uniti la malattia ha un’incidenza del 12 per mille, in Sardegna la media è trenta, anche quaranta volte più alta. Il fattore è essenzialmente genetico e se la maledizione dei sardi è scritta nel Dna sembra proprio che una speranza arrivi proprio dalla terapia genica messa a punto dai recentissimi studi che portano la firma degli scienziati del Centro di ricerca pediatrica “Romeo ed Enrica Invernizzi” dell’università Statale di Milano in collaborazione con il Boston Children’s Hospital e l’Harvard Medical School.

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Paolo Fiorina, bergamasco, classe 1967, direttore del Centro di ricerca internazionale sul diabete di tipo 1 presso il Centro Invernizzi e professore associato di Endocrinologia dell’ateneo milanese, è uno dei ricercatori in prima fila – con Francesca D’Addio e Moufida Ben Nasr – nella battaglia a un male gravemente invalidante: «Quello che noi abbiamo fatto è stato somministrare a dei topi affetti da diabete di tipo 1 un’infusione di staminali ematopoietiche ingegnerizzate, geneticamente modificate per aumentare la sintesi della proteina PD-L1 – spiega Paolo Fiorina –. Una proteina che è un vero e proprio interruttore del sistema immunitario, che in dose giusta controlla i linfociti. Quando questa proteina è carente nelle staminali ematopoietiche dei pazienti con diabete 1 si facilita l’attivazione del sistema immunitario, spingendolo verso l’auto aggressione contro le cellule del pancreas che fabbricano l’insulina. In pratica la carenza della proteina PD-L1 può spiegare l’insorgenza del diabete».

La chiave dell’equipe medica è stata proprio l’intervento sulle cellule staminali ematopoietiche, cioè quelle staminali che costruiscono tutte le cellule del sangue, al loro interno è stata trasferita la sequenza corretta di informazione genetica specializzata nel produrre la proteina PD-L1 utilizzando come navetta un virus reso inoffensivo. «Abbiamo ricostituito la proteina PD-L1 con un approccio genetico e farmacologico, il nostro team è riuscito a introdurre nelle staminali ematopoietiche murine, cioè dei topi di laboratorio, la versione sana del gene che codifica la PD-L1. Le staminali “ingegnerizzate” sono state rimesse in circolo, utilizzando appunto il virus come navicella, nei roditori vivi affetti da diabete, e in tutte le cavie le staminali corrette hanno normalizzato i livelli di glicemia. Il sistema immunitario viene rimodellato, le cellule trattate migrano nel pancreas ripristinando la normo-glicemia». Sottolinea con soddisfazione lo scienziato.

La strada del trapianto di cellule staminali prelevate dal paziente stesso era già stata percorsa in passato. «Anche in studi precedenti si era tentato di fermare l’attacco auto-immune con il trapianto autologo di cellule, attraverso l’infusione di cellule ematopoietiche del midollo osseo provenienti dal paziente, nel tentativo di ricostruire il sistema immunitario – conferma Fiorina – . Intervento che è stato efficiente per alcuni malati ma non per tutti. Questo ci ha portato a pensare che le cellule ematopoietiche siano effettivamente in grado di “riparare” il sistema immunitario e che fosse proprio la carenza di proteina PD-L1 nei topi e negli esseri umani affetti da diabete 1 a compromettere questa azione di normalizzazione. Abbiamo analizzato il set dei geni regolatori che controllano la produzione della proteina PD-L1 che è risultata alterata nelle cellule ematopoietiche dei topi e pazienti malati, tanto da compromettere la produzione della proteina provocando l’insorgenza della risposta autoimmunitaria».

L’interruttore PDL-1 ha il compito di “spegnere” l’attacco del sistema immunitario e la ricerca ha confermato che il deficit di questa proteina favorisce l’ “accendersi” della risposta autoimmunitaria. Gli scienziati hanno riparato la proteina e l’hanno rintrodotta (col sistema del virus inoffensivo) nei topi ottenendo, quindi, la remissione della malattia e curando completamente il diabete in tutti i topi trattati.

Ora la domanda è sempre la solita, dai topi e dai laboratori scientifici all’uso diffuso e alla cura per i tanti malati di diabete, quanto tempo passerà? «La cautela nella scienza è d’obbligo – precisa Paolo Fiorina – la nostra ricerca è stata già provata anche ex vivo usando staminali umane e procede parallela ad altri approcci per la cura del diabete, la sua forza risiede nel fatto che non esistono controindicazioni perché si utilizzano cellule staminali dei pazienti stessi. Lo stesso effetto di ripristino del PDL-1 si ottiene anche con un cocktail di farmaci e questo può fornire un ulteriore strumento. Servono nuovi studi per mettere a punto la durata e la frequenza del trattamento, se le cose vanno avanti così credo che potremo iniziare le sperimentazioni cliniche già nel 2018».

Ma Paolo Fiorina è particolarmente ottimista: «Servono i soldi necessari per sviluppare il sistema ma stiamo vivendo sotto un karma favorevole – confessa – la Fondazione Invernizzi sta ricevendo l’attenzione di un venture capitalist, interessato alle nostre idee, e da altri finanziatori». Nell’attesa della sconfitta di un male subdolo si ipotizza un farmaco, una pillola, ma per Fiorina la soluzione sarà la terapia cellulare. «Si interverrà sulle cellule messe a disposizione del paziente – spiega – una volta modificato e “riparato” il suo sangue verrà rispedito, in Sardegna per esempio, e rintrodotto attraverso l’infusione di una flebo». Intanto la ricerca ha ottenuto la ribalta internazionale con la pubblicazione sulla rivista Science Translational Medicine, una delle più prestigiose in ambito di medicina sperimentale.
 

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