La Nuova Sardegna

«Vi racconto la scienza ai tempi dei social e delle fake-news»

di Salvatore Taras
«Vi racconto la scienza ai tempi dei social e delle fake-news»

La giornalista-medico parla della divulgazione del sapere La fantasia come mezzo per spiegare «cose difficili»

11 dicembre 2017
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SASSARI. «Perché dobbiamo divulgare la scienza? È una questione di democrazia. È da quasi un secolo che la nostra collettività è strapiena di scienza, dalla tecnologia che abbiamo in tasca fino alla ricerca dei prodotti della spesa, per non parlare di medicina e salute. Insomma, non possiamo sottrarci. E parlarne è il modo migliore per confrontarci e partecipare alle decisioni della collettività». A dirlo è Silvia Bencivelli, una delle più affermate giornaliste scientifiche italiane, medico-chirurgo prestato al mondo dell’informazione che nei giorni scorsi è stata protagonista a Sassari degli “Incontri ravvicinati con la scienza”, un ciclo di appuntamenti a tema organizzati da Aristeo e Sat.

Quali sono oggi i principali problemi dell’informazione, in particolare di quella scientifica?

«I problemi più sentiti sono quelli delle notizie false, che devono essere capite, arginate, e inquadrate in un contesto sempre più delicato. I social sono una cosa ormai imprescindibile. Ma sono solo uno strumento, non possiamo condannarli, bisogna saperli usare. I professionisti dell’informazione li utilizzano molto per cercare le notizie e per cavarne fuori i semi del dibattito. Il problema delle fake news è il nostro cervello, che nei millenni si è evoluto per sopravvivere, e quindi preferisce vedere il ghepardo dietro un cespuglio anche quando è un gatto, piuttosto che viceversa».

Come si comunica la scienza?

«La prima cosa che bisogna fare è chiedersi perché, e abbiamo già risposto. La seconda è il pubblico. Bisogna sapere che stai entrando nelle case, intervenendo sulle idee, con ricadute domestiche molto importanti, dalle scelte sulla salute agli aspetti ecologici sulla propria vita e tanto altro. Tre, ci vuole esercizio, come in tutte le cose. Sono convinta che in questo mondo siano necessari i professionisti, non le improvvisazioni».

Quali problemi possono scaturire?

«Farsi abbindolare da certe idee che possono portare a scelte sbagliate: da chi abbandona le terapie validate e si affida agli stregoni a chi spende un sacco di soldi magari per cose inutili, a chi distorce un po’ l’immagine di sé verso una manipolazione psicologica».

Spesso gli scienziati accusano i giornalisti di enfatizzare troppo le scoperte. Lei che conosce dall’interno entrambe le figure, cosa ne pensa?

«C’è bisogno di un dialogo sano, che passa dal riconoscere che ognuno fa il proprio mestiere. Gli scienziati accettano supinamente l’enfasi quando si parla di economia e sport, ma quando si parla del loro settore è difficile capire che un giornalista deve essere veloce a trattare notizie, che per giunta a volte arrivano già distorte. E bisogna capirle al volo, verificarle e convincere il proprio capo al giornale».

Qual è il segreto per diventare una freelance di successo?

«Io ho scelto di fare la giornalista perché volevo fare ricerca, ma senza troppe barriere. Ciò che vedo io è che il giornalismo iper-specializzato se la cava meglio del giornalismo generalista. Quindi noi che facciamo scienza, in particolare chi fa salute, astronomia e ambiente, tipicamente si crea delle nicchie nelle quali non può essere sostituito. Mi rendo conto di essere in una situazione di privilegio».

Quali sono i media più indicati per la divulgazione scientifica?

«Non ci sono media più adatti degli altri. Io insegno alla Sapienza, dove cerchiamo di mostrare come si possa declinare un discorso sulla scienza, dalla tv alla radio alle varie forme di carta stampata, al web e così via. Gli strumenti e i pubblici sono sempre diversi, ciò che cambia poco è il lavoro preliminare in riferimento al pubblico, alla committenza, al linguaggio che deve essere usato».

Tante pubblicazioni alle spalle e ora un romanzo per Einaudi, “Le mie streghe”. Può la fantasia aiutare a conoscere la scienza?

«La fantasia aiuta eccome. Per parlare coi bambini ci inventiamo la storia del piccolo astronauta, secondo me si può fare anche con gli adulti. Pensiamo che sia un modo per far comprendere meglio le cose difficili. La stregoneria del giorno d’oggi non è tanto diversa da quella che abbiamo sempre avuto perché noi esseri umani abbiamo una straordinaria propensione a credere a un sacco di baggianate. Non è che siamo più scemi oggi che abbiamo i social network. Ciò che è cambiato è il mercato, ci sono proposte di terapia che vanno molto di moda. La crisi però ha tirato una grossa botta alle truffe costose. E poi ci sono i rifiuti dei vaccini. Chi rifiuta i vaccini ha una paura molto umana, perché il vaccino è un’iniezione che si fa a un bambino sano. Ma grazie a un’adeguata informazione, bisogna capire che funziona, ed è sicuro».

Quali fake news pseudo-scientifiche sui sardi arrivano fino a Roma?

«C’è effettivamente tutta quella storia sul fatto che i sardi siano testardi e privi di humor, ma anche quei miti sulla loro provenienza, che sono una popolazione particolare, che hanno costruito cose per parlare con gli alieni… ecco questo effettivamente ogni tanto, anche ironicamente un po’ arriva. Ma per me i sardi sono italiani. Cambia solo che devi prendere una nave o un aereo per raggiungerli, non puoi arrivarci in treno, questa è l’unica differenza».



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