La Nuova Sardegna

Le donne di Arborea, le più libere d’Europa

di Gian Giacomo Ortu
Le donne di Arborea, le più libere d’Europa

In un saggio di Gian Giacomo Ortu lo scontro di civiltà tra i regni sardi e l’Aragona, potenza continentale emergente

14 dicembre 2017
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Dal saggio dello storico Gian Giacomo Ortu “La Sardegna tra Arborea e Aragona” (502 pagine, 23 euro), appena mandato in libreria da Il Maestrale, pubblichiamo il capitolo dedicato alla condizione femminile nel Giudicato di Arborea.

* * *di Gian Giacomo Ortu

Come in tutta la coeva Europa feudale, la comunità rurale arborense è un composto, su base parte volontaria parte coattiva, di unità familiari. Non stupisce, pertanto, che la «Carta De Logu» arborense riconosca alla famiglia un ruolo centrale e manifesti un’attenzione assai vigile per la sua costituzione patrimoniale e morale.

Le formule di formazione e gestione del patrimonio familiare sono essenzialmente due: «a modo sardisco», che prevede la separazione dei beni portati al matrimonio da ciascun coniuge, detti pegugiares, e la comunione di quelli acquisiti durante l’unione; e «a dodas» o «ad modu pisaniscu», che contempla l’apporto dotale della sposa. La figlia dotata può essere esclusa dall’eredità degli altri beni dei genitori con esplicita clausola testamentaria, in assenza della quale partecipa della loro divisione per la parte della sua quota di eredità legittima che eccedesse il valore della dote. Nel caso di premorte senza figli di un coniuge, i suoi beni – quelli peguagiares e la metà di quelli acquisiti – tornano alla famiglia d’origine in entrambi i tipi di matrimonio. Quando anche i figli in età minore muoiono prima del compimento dei diciotto anni, il coniuge superstite eredita tutto, compresi i beni del coniuge defunto, a meno che questi non abbia disposto diversamente per testamento. La libertà di testare può in effetti interferire con la successione legale dei figli, che dovrebbe essere sempre egualitaria. Il testatore può infatti diseredare un figlio ove espliciti la motivazione di simile decisione; nel qual caso lascia però agli eredi designati l’onere di provarne la «justa occagione», e cioè la giustezza e legittimità.

La norma della separazione dei beni pegugiares dei due coniugi è tanto cogente che essi non possono donarsene reciprocamente un valore superiore alle dieci lire ove il loro patrimonio (valsente) superi le venti lire, e superiore a una lira quando sia inferiore a tale importo. Soltanto nel caso che non abbiano eredi legittimi, discendenti o ascendenti, i coniugi hanno facoltà di donarsi per testamento quanto vogliono.

L’inventario dei beni dei defunti intestati è ordinato dal curadore competente, che ha pure il compito assai delicato di provvedere all’affidamento dei figli in età minore a un parente stretto o a persona affidabile (bonu homini). La competenza delle cause relative alle curatele è della Corona de Logu, che assume allora le funzioni della «corte delle tutele», istituzione presente in altri paesi europei, come in Inghilterra, con la ben nota court of wards.

La moglie e gli eventuali figli di primo letto dei condannati per offesa o tradimento nei confronti del giudice se personalmente incolpevoli non patiscono alcuna lesione dei loro diritti patrimoniali, in quanto «non est rexone», non è conforme al diritto, che la colpa o mancanza del marito o padre ricada su di essi); e così pure nel caso che la confisca dei beni si applichi per reati meno gravi. Questo rispetto delle “ragioni” familiari non è soltanto economico poiché si spinge al punto di non prevedere alcuna sanzione per quei familiari stretti (moglie, genitori, nonni, figli e fratelli-sorelle) di un bandito o latitante che gli abbiano offerto «aiudu over consigiu»

. Al capofamiglia è infine riconosciuto il diritto di correzione anche violenta («batiri e castigari») nei confronti di quanti abitano la sua casa, vi stiano «a pani et a vino suo», o siano comunque sottoposti alla sua disciplina o tutela: moglie e figli, figlia di figlia e di fratello e sorella, servitori, apprendisti e minori in affidamento. Per quanto soggetta all’autorità del marito, che ha su di lei il potere di correzione violenta, senza però effusione di sangue, la donna arborense sembra godere di una condizione non del tutto subalterna nei confronti dell’uomo. Intanto perché s’intende che il lavoro domestico della donna sposata contribuisce non meno del lavoro dell’uomo alla formazione del patrimonio familiare, sul quale acquista perciò i suoi stessi diritti, per cui i beni de comporu, e coè acquisiti durante il matrimonio, sono in perfetta comunione. Inoltre, le femmine partecipano alla successione dei beni paterni e materni nella stessa misura dei maschi e, come si è visto prima, non possono esserne escluse neppure per l’eventuale dote ricevuta.

Lo stesso adulterio della donna subisce la sanzione economica più grave, con la privazione di ogni diritto patrimoniale a beneficio del marito, soltanto nel caso in cui sia compiuto entro le mura domestiche, con pregiudizio (considerato estremo) dell’integrità e onore dalla casa. Se l’adulterio è compiuto dalla donna fuori della sua casa o in casa dell’amante, la sanzione è limitata alla fustigazione, senza perdita dei diritti patrimoniali. Pena non maggiore di quella inflitta all’amante, che viene assoggettato a una pesante sanzione pecuniaria, il cui mancato pagamento comporta la mutilazione di un orecchio. Nel caso di violenza sessuale il responsabile subisce una sanzione pecuniaria ancora maggiore o il taglio di un piede, e se la vittima è una ragazza illibata alla multa si aggiunge l’obbligo della riparazione matrimoniale, ove però la sua condizione sociale non sia superiore a quella dell’uomo, e comunque soltanto con il suo consenso («plaquiat assa femmina»).

Tutto ciò è certo troppo poco per parlare di uno status paritario nel rapporto tra i sessi, ma è abbastanza per ipotizzare che nei gruppi sociali medi e superiori la condizione di proprietaria assicuri alla donna qualche mezzo materiale per far valere la sua volontà e le sue ragioni almeno nell’ambito domestico. A maggior ragione perché la proprietà della donna è salvaguardata anche nel caso che il marito subisca la confisca dei beni per i reati di tradimento e offesa al giudice.

© EDIZIONI IL MAESTRALE, NUORO, 2017

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