La Nuova Sardegna

Sulla rotta dei cetacei, i padroni del Mediterraneo

di Roberto Sanna
Sulla rotta dei cetacei, i padroni del Mediterraneo

Il biologo Antonio Di Natale: «Anche la Sardegna fa parte del loro habitat naturale»

16 dicembre 2017
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Possono sbriciolarti con un colpo di coda. Oppure fidarsi di te a tal punto da lasciarti entrare nelle loro fauci per liberarli da una rete che rischia di ucciderli. Sicuramente affascinano, colpiscono sempre l’immaginario. Quando navigano maestosi nel mare oppure danzano felici tra le onde o anche, come pochi giorni fa nelle acque della Marina di Sorso, concludono tristemente la loro esistenza spiaggiati e il loro corpo diventa allo stesso tempo attrazione irresistibile per la gente e un problema logistico ed economico per le amministrazioni pubbliche che devono occuparsi del loro funerale. Una cosa è certa: i cetacei sono tra noi e, soprattutto in Sardegna, dobbiamo considerarli compagni quotidiani della nostra esistenza. Perché non c’è bisogno di andare fino alla Norvegia o al Canada per una mattina dedicata al “whale watching”. Semplicemente, da quelle parti sono più organizzati. E la anche Sardegna, al centro del Mediterraneo, è sulla rotta dei cetacei .

L’UOMO DEI CETACEI. Antonio Di Natale, 63 anni, biologo marino, segretario generale della Fondazione Acquario di Genova, è l’uomo che sussurra ai cetacei. Ha dedicato a loro tutta la sua vita lavorativa e questi splendidi mammiferi per lui non hanno segreti. E sull’episodio dei giorni scorsi che ha visto la carcassa di una balenottera di 17 metri adagiata nella spiaggia di Platamona, ha una risposta molto semplice: «Non esiste una vera spiegazione sui fenomeni di spiaggiamento dei cetacei, nessuno sa perché queste cose accadano – dice –. Di sicuro sono situazioni piuttosto comuni: pensiamo, per esempio, che esistono opere grafiche che rappresentano cetacei spiaggiati già nel Cinquecento. Chiaramente sono episodi che attirano parecchio l’attenzione, ma teniamo conto che sono sempre accaduti».

«Innanzitutto dobbiamo distinguere se si tratta di un singolo animale o di un gruppo – aggiunge –. Nel primo caso, le cause possono essere un’infinità: l’animale potrebbe aver avuto un malore, essere stato bloccato da una rete, aver ingerito della plastica che gli ha provocato un blocco intestinale, essere rimasto vittima di un’infezione, essere stato danneggiato dalle onde di un sonar a bassa frequenza. Potrebbe anche esserci stato uno scontro con una grossa nave: un tempo c’erano le barche a vela e capitava raramente, ora con le navi col motore a elica è più frequente. Anche se non si capisce perché accada, visto che questi animali dovrebbero comunque essere in grado di sentire l’arrivo delle navi».

FUNERALE COSTOSO. La balenottera di Platamona ha scatenato la curiosità della gente, soprattutto sul web, ma al sindaco di Sorso quando ha capito a cosa stava andando incontro dal punto di vista finanziario sono andate in tilt le coronarie: «Esiste una sorta di protocollo per i cetacei spiaggiati – spiega Di Natale – e dipende dalla singola situazione. Intanto dalla grandezza dell’animale: se è un delfino non ci sono problemi, è come rimuovere il corpo di un uomo, se invece è di grosse dimensioni è tutto più difficile. Bisogna anche vedere se l’animale è vivo o morto. Se è vivo, si attiva la Capitaneria di porto competente che fa riferimento a una sorta di network nazionale e si cerca di riportare al largo il cetaceo. Anche se questo non sempre significa ridargli la vita, perché l’animale potrebbe essere comunque alla fine. Se viene catturato durante una battuta di pesca invece interviene la Guardia di finanza coi i sommozzatori. Se però l’animale è morto ed è di grandi dimensioni, i Comuni non fanno esattamente salti di gioia perché rimuovere la carcassa è difficile e costoso. Si dovrebbe intanto effettuare l’autopsia, in accordo con l’Istituto zooprofilattico, e un fatto che molti trascurano è che si dovrebbe preservare lo scheletro, sia per motivi scientifici sia perché potrebbe diventare un’attrazione museologica. Chiaramente trattare lo scheletro di una balena è un problema complesso e delicato». La realtà è però piuttosto dura: «Non esistono fondi specifici statali per queste situazioni. Tempo fa avevamo chiesto una normativa ministeriale e ancora non se ne è fatto niente, eppure si tratta di emergenze che si verificano praticamente ogni anno. Di fatto ricade tutto sulle spalle dei Comuni, che devono smaltire le carcasse come un “tradizionale” rifiuto speciale». Le statistiche dicono che in Italia si può arrivare fino a cento casi come questo ogni anno.

AMICI COMUNI. Molto spesso l’immaginario collettivo riconduceva la presenza dei cetacei alle cruente scene di caccia ambientate nell’immensità dell’Atlantico, al freddo e in acque vicine al Polo nord. Scene che continuano ancora in Giappone, Islanda e soprattutto Norvegia nonostante i ripetuti appelli delle organizzazioni ambientaliste. In realtà i cetacei sono tra noi perché «vivono in tanti posti del mondo e quindi, contrariamente a quello che si pensava, anche nel Mediterraneo, dove si sono ritagliati una loro nicchia ecologica» spiega ancora Antonio Di Natale. Nel Mediterraneo vivono per quasi tutto l’anno la balenottera comune, la balenottera minore, il capodoglio, l’orca, la pseudorca, lo zifio, il delfino. La balenottera e il capodoglio, per giunta, in queste acque si riproducono. L’Italia si è accorta tardi della loro presenza, il primo programma nazionale di monitoraggio delle specie risale infatti al 1978 su iniziativa dell’Università di Messina. Da allora è cominciata una corsa a recuperare il tempo perduto fino all’istituzione nel 1999 del Santuario dei cetacei, area di circa 100.000 km2 comprende le acque tra Tolone (costa francese), Capo Falcone (Sardegna occidentale), Capo Ferro (Sardegna orientale) e Fosso Chiarone (Toscana). Un’area dove si trova la più alta concentrazione di cetacei tra tutti i mari italiani e probabilmente rappresenta l’area faunisticamente più ricca dell’intero Mediterraneo. «Nelle acque della Sardegna, isola che si trova all’interno del Santuario, vivono tutte le specie anche un censimento è impossibile – puntualizza Di Natale –, la gente forse non si rende conto che tutti questi animali sono presenti nelle vostre acque. Invece ci sono, eccome. Io nelle acque tra l’Asinara e Alghero ho fatto un importante avvistamento di balenottere, forse il più grosso mai fatto. Il “whale watching” una risorsa turistica? In Liguria lo fanno in tanti, forse dovreste cominciare a pensarci. Tenendo conto che anche questa attività va svolta seguendo determinate regole».

COME PINOCCHIO. Antonio Di Natale probabilmente è anche l’unico al mondo a poter raccontare di essere entrato, e uscito, nella bocca di un capodoglio: «Dovevo liberarlo da un rete che gli si era infilato sotto il palato e l’unico modo era entrare nella bocca. Lo so, ho rischiato la vita ma ho pensato che già il fatto che mi avesse consentito di immergermi a fianco a lui era un segno di fiducia. Avrebbe potuto spazzarmi via, se non l’ha fatto è perché aveva capito che poteva fidarsi».

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