La Nuova Sardegna

La scelta di campo di Francesco Cocco

di Costantino Cossu

Ricordo di un intellettuale rigoroso e di un dirigente politico che sapeva guardare oltre la semplice gestione del potere

28 dicembre 2017
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Ora che l’intelligenza di Francesco Cocco ci è tolta per sempre, vorremmo dire di lui due cose. La prima è, nella sua solo apparente inattualità, quella alla quale – lo sappiamo per certo – lui avrebbe tenuto di più: era un comunista. Con Gramsci (e attraverso Gramsci con Marx) Francesco Cocco pensava che stare, in politica, dalla parte giusta significasse lavorare per costruire un modo di produzione e un ordine sociale che andassero oltre il capitalismo e, insieme, una nuova e superiore forma di civiltà. Era poi un comunista italiano, Francesco Cocco. Più precisamente, era un intellettuale il cui percorso s’è svolto interamente dentro la storia del Partito comunista italiano, da Gramsci a Togliatti a Berlinguer. Con tutte le differenze che questo comporta rispetto ad altre linee del comunismo internazionale, innanzitutto rispetto a quella sovietica. Quanto questa scelta politica di fondo – che fu anche una scelta di vita – lo abbia guidato sino alla fine, si può vedere in uno dei suoi ultimi interventi giornalistici, intitolato “L’utopia di Papa Francesco”, nel quale scriveva: «Bergoglio non si limita, con la sua enciclica “Laudato sì”, a denunciare il baratro verso il quale stiamo facendo precipitare il pianeta e con esso l’umanità. Fa molto di più, indica i rimedi: “L’umanità è chiamata a prender coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo”. Non è un generico richiamo ad uno stile di vita sobrio, antitetico a certo esibizionismo consumistico. Fa molto di più, fa specifico riferimento ai modelli di produzione. Certo non usa la locuzione “modello di produzione”; sarebbe stato uno slittamento di linguaggio verso certa elaborazione dei classici del movimento operaio. E’ chiaro però che “stili di produzione”, anche alla luce della complessiva elaborazione dell’enciclica, non può che essere riferito al modello di produzione capitalistico. Per altro verso è esplicito il riferimento persino alla necessità di forme di “decrescita” per una più equa redistribuzione dei beni di cui l’umanità può disporre». E aggiungeva: «Vi pare che oggi vi sia una qualche forza politica o sindacale che possa far propri i valori dell’enciclica? Gli slogan gridati nelle piazze sono di segno molto diverso e talvolta persino opposto. Forse proprio in questa contrarietà ad una visione populista sta la natura profetica dell’enciclica. In questo guardare alle esigenze profonde dell’umanità va individuata la grande utopia di Papa Francesco. L’utopia non è sempre visione dell’impossibile, è anche capacità d’intravedere il futuro. E questa capacità di guardare al futuro è la cifra dell’enciclica che Bergoglio offre all’umanità». Come si vede, un nuovo ordine economico e sociale e un nuovo ordine di valori.

Francesco Cocco non seguì Achille Occhetto nella svolta della Bolognina che segnò la morte del Pci. Quando nacque il Pd, in una conversazione telefonica (a lungo Francesco Cocco ha collaborato con le pagine di Cultura della Nuova Sardegna) gli sentimmo dire: «Il Pd è un progetto sbagliato perché non è rintracciabile al suo interno alcuna direzione politica progressiva. Serve solo a governare l’esistente. E per di più in un quadro di confusione e di incoerenza. Forse ci vorranno dieci anni, forse un po’ di più, ma è un progetto che si affloscerà su se stesso».

La seconda cosa che vorremmo dire di Francesco Cocco riguarda il suo tratto umano. E’ stato un intellettuale e un dirigente politico rigoroso. Non sopportava la faciloneria e l’approssimazione, credeva che l’azione politica dovesse essere accompagnata sempre da uno sforzo onesto e serio di conoscenza. Nato nel 1936, si era formato in una temperie storica in cui la politica sapeva ancora sollevarsi più in alto – molto più in alto – rispetto alla pura e semplice gestione del potere. Una razza di intellettuale e di dirigente politico di cui oggi s’è persa la traccia. E però Francesco Cocco era anche qualcosa di più. Era una persona buona e gentile. Mai le differenze politiche generavano astio o risentimento personale. Mai prevaleva l’ambizione narcisa. Contava invece la forza dell’argomentazione, e più ancora contava quanto le scelte di campo sapessero incidere, per spostarla in avanti in termini di civiltà, sulla realtà di fatto.

Può non mancarci, un uomo così?

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