La Nuova Sardegna

Gli antichi portali custodiscono la memoria

di Enrico Carta
Gli antichi portali custodiscono la memoria

Gli ingressi monumentali alle grandi tenute agricole del Campidano di Oristano e di Milis 

30 dicembre 2017
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Toccandoli sembra di sentire il tempo che si porta via il passato. Annusando l’aria lì attorno si capisce che molto è cambiato dalla posa della prima pietra. Anche i sapori sono diversi. E l’udito racconta che il mondo non è lo stesso di allora. Ma questa è una storia di cinque sensi che vive prima di tutto con la vista la quale, da sola, non descrive comunque l’intero e però è certamente pilastro di una pagina che non può che essere fatta di immagini. Quella dei portali monumentali d’ingresso alle grandi tenute agricole del Campidano di Oristano e di Milis è una storia che ancora oggi si può raccontare.

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Il contesto cancellato. Dopo quasi quattro secoli rischia di essere presto sepolta o relegata in libri e convegni (pochi entrambi), perché i graffi del tempo e la scarsa considerazione per la memoria storica sono onde che si infrangono sulla scogliera sino ad abbatterla. Sui portali monumentali dell’Oristanese si è riaccesa l’attenzione quando, conclusa una parte dei lavori per la strada d’ingresso al capoluogo, ci si è (ri)accorti di quei giganti mai come prima fuori contesto; in mezzo a lillupuziani che li dominano rischiando di cancellarli. Un tempo ci passavano i carri dei contadini, oggi, abbattuta la cinta d’alberi che li affiancava, vengono sfiorati da auto laddove non sono ancora stati inglobati nel tessuto urbano che a sua volta li ha decontestualizzati.

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Quattro secoli di storia. Quasi tutti hanno perso la funzione originaria, figlia di una piccola rivoluzione agricola che risale ai tempi ultimi della dominazione spagnola sulla Sardegna. Nulla più volevano essere di un maestoso ingresso alle tenute agricole. I Savoia stanno per giungere sull’isola, intanto tra gli ultimi vagiti legislativi dell’impero che era stato il più vasto del mondo, c’è una legge che riguarda la realtà rurale. La Sardegna è indietro: si sbaglia il tipo di colture da impiantare o le colture stesse non sono seguite adeguatamente. I governatori spagnoli scommettono su olivo e agrumi e propongono una soluzione che non accontenterà tutti. La legge, ben più datata di quella piemontese delle chiudende, stabilisce che chi innesta gli olivastri rendendoli produttivi avrà sul terreno interessato il diritto di proprietà.

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La corsa alla terra. La misura avvantaggia chi tra il 1600 e il 1800 può permettersi di pagare un numero congruo di braccianti per intervenire sui latifondi e così chi già è possidente allarga i suoi confini. Della legge approfittano la piccola nobiltà, la scarna borghesia e i potentissimi ordini ecclesiastici arborensi. I terreni “conquistati” con l’innesto degli olivastri – lo stesso vale per gli agrumi – diventano loro. Da quel momento sino all’inizio del ’900 i portali assumono un ruolo nella rivendicazione sociale delle famiglie che partecipano a questa corsa all’oro in miniatura, perché nella poverissima emarginata isola alberi e frutti valgono quanto metalli preziosi.

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Simboli di potenza. Come in altre parti d’Italia, dove sul finire del medioevo i palazzi dei signori non assumono più solo la funzione difensiva ma anche quella di mostrare al mondo la potenza del principe attraverso la magnificenza del luogo in cui dimora, la Oristano che conta fa lo stesso con i portali nell’evo moderno. Inizia così la sfida tra famiglie, una gara a chi costruisce il più bello. Ne nascerà una ventina nel corso di tre secoli. La maggior parte viene eretta a Nuracabra e Fenughedu, oggi Donigala Fenughedu. Gli altri sorgono verso Nuraxinieddu, pochi a Silì o nella campagna del capoluogo; e ancora a Cabras o più a nord nei campi di San Vero Milis e più in là sino a Milis, ultimo lembo di Campidano alle pendici del Montiferru.

Tra storia e architettura. La corsa a edificare il migliore, li trasforma oltre che in testimonianze storiche anche in preziose esperienze architettoniche. La pietra scarseggiava, ma le maestranze non si perdevano d’animo e raccattavano qualsiasi tipo di materiale usando arenaria di altre costruzioni o cuocendo quei mattoni che, come sosteneva l’architetto Giuseppe Viana, erano di pessima qualità. Di pregio erano invece alcuni spunti architettonici. Furono barocchi, neoclassici, neoromanici e neogotici. Hanno tutti una particolarità che li differenzia da simili costruzioni in Italia: alle loro spalle non c’è la villa maestosa o la casa padronale. C’è solo la casa del fattore perché i proprietari abitavano nel borgo.

Geografia dei portali. Il più maestoso, quello di Vitu Sottu, si trova a Donigala nella tenuta della famiglia Manni. È un unicum per via degli oltre otto metri di altezza. Dominava il territorio, ma non era il solo a svolgere questa funzione. Ad alcuni vennero aggiunte delle scalinate: servivano per far spaziare lo sguardo sull’intera tenuta e vigilare sui furti. Andò così fino al momento in cui persero la loro originaria funzione. Sono rimasti come elementi architettonici coi piedi d’argilla. Molti oggi sono decontestualizzati. Quello di Donna Annetta a Cabras è accerchiato dall’agglomerato urbano e affossato dalla soluzione architettonica con cui è stato restaurato. Quelli di Vittu Sottu o delle famiglie Pisanu e Sotgiu a Donigala sono rimasti ai margini delle zone urbanizzate, così come quello della famiglia Cabitza a Silì. Ci sono poi quelli sfiorati dai camion che percorrono la strada 292, in un contesto in cui antico e contemporaneo non si sposano. Forse, solo tra San Vero Milis e Milis, restano vivi gli echi del passato, in particolare a Milis nel portale di S’ortu de is paras dove ancora si entra in un mondo in cui resiste il connubio tra architettura e campagna, tra l’uomo e la sua terra che è stata anche il suo passato. Oggi, va sbriciolandosi come quelle fragili pietre orfane della memoria.
 

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