La Nuova Sardegna

«Quando il Maestro rimase affascinato da fregula e arselle»

di Giovanni Fancello
«Quando il Maestro rimase affascinato da fregula e arselle»

Il grande chef nelle parole dei suoi allievi sardi Fabio Zago ha lavorato con lui nell’Accademia

05 gennaio 2018
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SASSARI. «La scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità del genere umano più che la scoperta di una stella». Così proclamava Brillat-Savarin. E il cuoco Gualtiero Marchesi di manicaretti ne ha elaborati tanti. Fin da piccolo si muoveva attorno al ristorante-albergo dei genitori. La sua passione non era solo la cucina, amava ogni forma d’arte. «La cucina è di per sé scienza. Sta al cuoco farla diventare arte» era una sua sintesi. Si documentava tantissimo e parlava tre lingue. Un artista che materializzava il suo sapere in cucina, creando opere d’arte alla pari dei suoi contemporanei: Mario Schifano, Tano Festa, Luciano Fabbro, Jannis Kounellis e Alberto Burri. Con lui la cucina italiana viveva una sorta di riscatto dopo i secolari domini di quella francese.

Per diventare cuoco non ha fatto la classica gavetta, ma ha respirato la fertile cultura che circondava Milano in quegli anni. Apre il suo ristorante a quasi cinquant’anni, quando in Italia iniziava l’invasione dei surgelati. I menù dei ristoranti e trattorie proponevano: cocktail di gamberetti, farfalle panna e salmone, gnocchi panna, piselli e prosciutto. La materia cucina era abbandonata a sé stessa e prevaleva la terminologia francofona. La grande minaccia era la scomparsa della cucina regionale che invece il Maestro Marchesi sostenne e rinnovò. Seppe mirabilmente interpretare preparazioni della cucina regionale italiana, compresa quella sarda. Quando compì 80 anni il Comune di Milano gli dedicò una mostra nelle sale Viscontee del Castello Sforzesco. L’avevo conosciuto nelle cucine del suo e mio amico Sergio Mei di Santadi, presso il Four Seasons di Milano. Mi accompagnò personalmente a visitare la mostra descrivendomi con piacere e passione ogni dettaglio. Gli ho chiesto particolari su alcune sue creazioni specie quelle dedicate agli artisti: “Trittico per Burri”: Sul letto del piatto scuro, ho disposto delle verdure, cotte e condite. Toni e cromie sono gli stessi della Città di Castello: bruni corposi, lame di giallo, verde e rosso. Ad unificare il tutto il mantello lieve e tenace del nero di seppia vaporizzato, uovo affogato nero che si rompe a tavola; “Dripping!”: è un piatto in omaggio a Pollock, riso con una salsa a base di maionese leggera con un dripping a impronte circolari di nero di seppia e ricci di mare, tartufo nero in crosta di sale, tagliato a fette. Marchesi ha formato anche, alcuni dei più grandi cuochi italiani contemporanei: Carlo Cracco, Enrico Crippa, Pietro Leemann, Paolo Lopriore, Andrea Berton e molti altri tra i quali diversi sardi.

Nella sua Accademia, in via Bovesin de la Riva a Milano, è Fabio Zago, a prestare le proprie mani da tre anni, per realizzare e concretizzare la filosofia e le idee culinarie del Maestro. Fabio Zago, lombardo di nascita, ma residente in Sardegna a Putifigari è anche docente presso la scuola alberghiera di Sassari. Un cuoco colto, di grande talento, esperienza e saggezza. Sul Maestro Marchesi dice: «Sosteneva di essere stato avvolto, appena nato, da tiepidi panni e posto in una culla, che era una grande casseruola di rame». Dei suoi insegnamenti dice: «Ho il ricordo ancora molto chiaro sui suoi efficaci metodi di insegnamento: con pochi e semplici gesti il piatto era subito pronto e squisito». Aggiunge: «La parola chef non gli piaceva, voleva che si usassero parole italiane. Sono riuscito a cucinare per lui qualche nostra ricetta: sa fregula e arselle che gli piacque molto; montagne di carciofi e profumate lombatine di agnello arrosto». Gualtiero Marchesi era anche Rettore presso l’ALMA, la Scuola internazionale di cucina italiana di Colorno, vicino Parma, e per ben sei anni, collaborò con lui, come chef executive, Leonardo Marongiu di Cuglieri, cuoco, oggi, presso il ristorante HUB di Macomer. Sul Maestro riferisce: «L’ho conosciuto nel 2009, aveva 79 anni. Era molto severo e pignolo nella ricerca degli ingredienti ed esecuzione delle preparazioni, ma anche molto generoso. Una volta si era alzato da tavola per complimentarsi con me per l’esecuzione, impeccabile secondo lui, di un “risi e bisi”. Un altro cuoco sardo che ha collaborato col Maestro è Claudio Melis, di Gadoni, ora a Bolzano nel ristorante “Il Viaggio di Claudio Melis Restaurant”. «Ho collaborato con lui a L’Albareta di Erbusco, tre stelle Michelin, ai tempi in cui ci lavoravano Cracco, Crippa e Lo Priore. Ero rimasto attratto dalla sua cucina dopo una cena nel suo ristorante di Milano. Avevo deciso che se volevo fare il cuoco dovevo seguire quegli insegnamenti, mi piaceva, affascinato, ascoltarlo. Raccontava le sue preparazioni. Mi ha insegnato la pulizia del gusto, del piatto e dell´ingrediente». Quando si incontra un uomo libero con gli occhi pieni di futuro, nessuna distanza è un ostacolo, ma anzi stimolo per riflettere e creare.



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