La Nuova Sardegna

IL RICORDO 

Un grande vecchio nuragico con una forza indomabile

di MANLIO BRIGAGLIA
Un grande vecchio nuragico con una forza indomabile

L’ultima volta che ci eravamo scritti era pochi giorni prima di quest’ultimo Natale. Più che gli auguri Ercole voleva farmi una domanda: se sapevo chi aveva pubblicato da poco un articolo sull’archeol...

08 gennaio 2018
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L’ultima volta che ci eravamo scritti era pochi giorni prima di quest’ultimo Natale. Più che gli auguri Ercole voleva farmi una domanda: se sapevo chi aveva pubblicato da poco un articolo sull’archeologia sarda cui voleva rispondere. E rispondere polemicamente. Questo era il carattere di Ercole, rimasto uomo di Villanova, cioè di montagna non facile, alta sul Flumendosa, come quella del Siurgus, dove era nato 94 anni fa. L’ho conosciuto nel 1944, studente della Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari. C’era ancora la guerra, anche se da noi era finita con l’abbandono dei tedeschi nel giorno dell’armistizio, e qualche compagno riprendeva gli studi, scontando magari gli anni di richiamo e di servizio militare. Eravamo pochi maschi in una facoltà di molte donne (“rari nantes in gurgite vasto”, diceva Ercole scherzando sulla nostra forte minoranza di maschi). Al ritorno dei professori “continentali” divenne allievo di Ranuccio Bianchi Bandinelli, ma intanto aveva frequentato anche Giovanni Lilliu, da cui apprese i primi rudimenti di una disciplina che ogni tanto li divideva nei giudizi: quando Lilliu morì Ercole fu chiamata a commemorarlo all’Accademia dei Lincei. Ho spesso raccomandato a qualche amico la lettura di quella commemorazione: non una sbavatura di retorico rimpianto, piuttosto l’elenco (addirittura l’elenco, sicuro) dei punti sui quali si dividevano.

Ercole aveva anche pubblicato da poco due volumi sulla Sardegna prenuragica e nuragica in cui aveva riassunto oltre cinquant’anni di ricerche, quasi tutte confluite, del resto, nelle più di 170 pubblicazioni che figurano nella sua bibliografia. Dopo la laurea era andato a specializzarsi in continente, ma per tornare presto a Cagliari e soprattutto a Sassari, dove arrivò nel 1950 come funzionario della Soprintendenza, archeologica. Nel giro di pochi anni ne diventò il direttore, lasciando subito due tracce profonde del suo lavoro: la prima, già a partire dal 1951, la scoperta fra Sassari e Porto Torres del grande altare a “zikurath” di Monte d’Accoddi, uno dei monumenti più originali dell’architettura preistorica isolana; la seconda, la direzione del Museo “Giovanni Antonio Sanna”, che restaurò e rinnovò all’insegna dello slogan “Un museo per tutti”, fondamento di un grande e decisivo impegno divulgativo. Professore ordinario di Antichità sarde non appena nacque la Facoltà di Magistero, vi insegnò dal 1970 al pensionamento del 1999: della Facoltà era stato anche preside, e vi aveva allevato una intera generazione di archeologi nati nel Nord dell’isola, completando così l’occupazione da parte di decine e decine di giovani “capesusesus” della loro porzione del patrimonio archeologico del territorio isolano.

Aveva telefonato qualche giorno fa per dirmi che avrebbe provato a salire le scale di casa mia (abitava anche lui in viale Umberto, dalle parti del vecchio numero civico 119, sacro alla storia dell’archeologia sarda). La notizia della sua morte improvvisa è arrivata come un fulmine: lo immagino abbattuto come una quercia, al modo in cui entravano nei regni d’Oltretomba i grandi vecchi nuragici.



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