La Nuova Sardegna

Una Sardegna da riscoprire tra miniere e vecchi mulini

di Roberto Sanna
Una Sardegna da riscoprire tra miniere e vecchi mulini

Come dare nuova vita a quel che rimane di un’epoca destinata a non tornare più

14 gennaio 2018
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Sparpagliati per la Sardegna, a simboleggiare i resti di un passato che difficilmente potrà tornare, i vecchi siti minerari e industriali aspettano solo di riprendere vita e continuare a produrre ricchezza per il territorio. Sicuramente sono un immenso patrimonio da sfruttare sul versante culturale, e quindi turistico, con un’offerta affascinante: villaggi operai, pozzi di estrazione, migliaia di chilometri di gallerie, impianti industriali, antiche ferrovie, preziosi archivi documentali, cave sfruttate da epoche lontane fino alla fine del ventesimo secolo . E ancora: antichi mulini, una gualchiera (a Tiana) che è una delle ultime due rimaste in Europa, vecchie centrali elettriche. Tutto incastonato in angoli di altissimo valore ambientale e storico, con un paesaggio incantevole a fare da sfondo. Insomma, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta

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IL TERRITORIO. Si parla di 3.800 chilometri quadrati divisi in otto aree. Il Monte Arci, nell’Oristanese, è considerato il primo distretto estrattivo della storia della Sardegna, attivato all’inizio del sesto millennio avanti Cristo da alcune comunità che scoprirono ricchi giacimento di ossidiana. L’area di Orani, in Barbagia, si divide tra Orani e Lula: a Orani ci sono giacimenti di talco sfruttati sin dal Neolitico, a Lula l’estrazione di piombo, zinco e argento risale al periodo romano e si è conclusa definitivamente pochi anni fa. Poi c’è l’area che comprende l’Argentiera, la Nurra e la Gallura, suddivisa in due parti: la prima interessa il settore occidentale della Nurra e si estende dai siti minerari dell’Argentiera e di Canaglia fino a Capo Caccia e l’antica miniera di rame di Calabona. Le aree minerarie dell’Argentiera e di Canaglia hanno costituito nel secolo scorso il più importante distretto metallifero della Sardegna settentrionale e all’Argentiera, su iniziativa del Comune di Sassari, sono diversi i progetti di restauro di alcune strutture minerarie importanti come il pozzo Podestà e la Laveria. La parte gallurese dell’area comprende diverse cave di granito situate nella parte nord-orientale del territorio.

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L’area di Funtana Raminosa, tra la Barbagia e il Sarcidano, vicino a Gadoni, è caratterizzata dalla grande miniera di rame di Funtana Raminosa, sfruttata sin dall’età neolitica. Nel Sarrabus e Gerrei il fulcro dell’attività era legato alle miniere d’argento nei pressi di Burcei, San Vito, Muravera e Villaputzu. L’area nei pressi di Arbus e Guspini è legata al compendi di Montevecchio e Ingurtosu, di fatto un secolo e mezzo d’industria mineraria che hanno segnato il territorio e rappresentano un enorme patrimonio in fase di recupero. Gli ultimi due distretti, il Sulcis e l’Iglesiente, rappresentano pezzi fondamentali della storia della Sardegna. Il Sulcis, dove l’attività è cominciata alla fine dell’Ottocento e si è conclusa di fatto negli anni Ottanta, contiene numerosi siti minerari alcuni dei quali hanno rivestito un’enorme importanza industriale: quello carbonifero di Serbariu (Carbonia), quelli metalliferi di Rosas (Narcao), Orbai (Villamassargia), Sa Marchesa (Nuxis), Capo Becco (Carloforte) e San Leone (Assemini). L’Iglesiente si caratterizza per il cosiddetto “anello metallifero di piombo, argento e zinco, mentre le miniere più importanti sono a Domusnovas, Fluminimaggiore, Buggerru e Gonnesa.

I NUMERI. Rispetto a qualche anno fa siamo in grande crescita e si può parlare anche di. I dati del 2017 dicono che a Porto Flavia, gestito direttamente dal Comune di Iglesias, si sono registrate 30mila presenze, il doppio rispetto al 2015 (anno di apertura), Montevecchio ha sfiorato le 12mila così come Buggerru, nel complesso Rosas di Narcao ci sono stati 10mila visitatori, il Museo del carbone di Serbariu ha sfiorato le ventimila presenze, nel Museo dell’Ossidiana sono stati staccati 4mila biglietti. Rispetto allo zero assoluto di qualche anno fa è sicuramente un segnale importante ma le potenzialità, e quindi le aspettative, sono ben altre, come dimostrano i numeri imponenti che altri siti europei snocciolano ogni anno.

PROBLEMI E PROSPETTIVE. Il futuro è sicuramente legato a un’unica “testa” ben strutturata e operativa che abbia come braccia operative a una gestione dei diversi siti che coinvolga direttamente i Comuni. Serve un’azione importante: tanto per fare un esempio, a Montevecchio, diviso tra Guspini e Arbus, «manca ancora il wi-fi e le strutture ricettive all’interno del complesso devono ancora essere assegnate per la gestione – dice Manuele Levante, direttore della cooperativa di gestione –. E il vero nodo da sciogliere è quello di un piano particolareggiato: se venisse ripristinata la strada di collegamento con Piscinas, per esempio, questo sito diventerebbe un punto di passaggio e sarebbe al centro di un traffico importante di turisti. Attualmente, invece, qui viene solo chi decide di fare una gita apposita, sono due prospettive diverse».

E poi serve un’azione promozionale molto decisa: «Ci stiamo avvicinando a quello che fanno i siti più strutturati presenti nell’Unione europea – dice ancora Tarcisio Agus –: abbiamo cominciato per esempio una “manovra di avvicinamento” alla Rur, una macchina da guerra che ogni anno fa segnare milioni di presenze. Legarci in qualche modo a loro sarebbe importante. A livello locale, credo che già sarebbe importante avere un centro di prenotazione unico che consenta di organizzare le visite via internet, potrebbe essere per esempio quello di Iglesias che è già operativo per Porto Flavia, unico in Sardegna. Questo è possibile solo se si riuscirà a costruire una rete tra gli otto distretti e sto lavorando molto in questo senso. Attualmente c’è una situazione diversificata che deve assolutamente essere armonizzata perché non consente una gestione unica».
 

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