La Nuova Sardegna

Musica che corre sul groove, la riscossa dei dischi in vinile

di Andrea Massidda
Musica che corre sul groove, la riscossa dei dischi in vinile

Ignorati per anni ora i long playing rotanti tornano di moda anche tra i giovanissimi

20 gennaio 2018
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La parabola discendente inizia al tramonto degli anni Ottanta, quando un muro si sgretola anche tra i cultori di musica. Il nuovo che avanza si chiama “cd” e acquistare un long playing in vinile diventa pian piano un esercizio obsoleto, reazionario, roba da nostalgici o da snob. Sono tempi in cui i discografici, incoraggiati dal crollo dei costi di produzione offerti dal supporto ottico, danno ormai per spacciato il classico 33 giri. E invece ecco che adesso, a distanza di tre decenni da quella prognosi nefasta – e con in mezzo la rivoluzione telematica – il paziente in coma non soltanto si risveglia, ma comincia a correre persino nell’hit parade. Gli attuali dati di vendita confermano questa rivincita: il “disco nero” sta riconquistando fette di mercato sempre più importanti, tanto che nel 2017 in Gran Bretagna, per la prima volta, i vecchi album hanno fatto registrare incassi superiori a quelli dei download digitali. Merito dei capolavori e dell’interesse dei giovanissimi verso un formato più seducente che garantisce un’ottima qualità sonora.

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I numeri della rivincita. La tendenza mondiale coinvolge ovviamente pure il nostro Paese, come rivelano i numeri a disposizione della Fimi, la Federazione industria musicale italiana. «Dopo l’exploit registrato negli ultimi anni – spiegano dalla sede centrale di Milano – la spinta del vinile resta ancora forte, tanto che il segmento rappresenta ormai quasi il 10 per cento del mercato, con una crescita del 44 per cento rispetto al 2016. Anche per questo – continuano – abbiamo deciso di ricominciare a pubblicare settimanalmente le classifiche di vendita del vinile». Ma il dato più clamoroso è che la “vinylmania” ha contagiato pure i nativi digitali: per quanto sembri incredibile, il 19 per cento dei consumatori italiani tra i 13 e i 15 anni acquista musica incisa sul microsolco. Pazzesco.

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Fascino intramontabile. Semplicemente una moda? O magari è tutto frutto dell’indiscutibile fascino del vintage? Chissà. La risposta non è così scontata. «Ritorna il vinile? Evviva!», esulta Piero Marras. «Non credo sia un fatto puramente nostalgico – argomenta poi il cantautore nuorese –, a mio avviso ci sono motivazioni abbastanza fondate per questo nuovo interesse per gli Lp. In primis, il suono. È indubbio che, pur sacrificando qualcosina nelle alte frequenze, il mitico disco rotante ripaga ampiamente in termini di rotondità e compattezza del suono. La cosiddetta “pancia” della cassa e del basso sono peculiarità difficilmente riscontrabili in un cd. È l’analogico, bellezza! Il suono di una volta, quello che si poteva toccare. Un suono operaio, necessariamente cooperativo. Non pulitissimo. Un po’ artigiano, fatto a mano. Come la pasta fatta in casa. Un suono d’autore. Unico, ben distinto e identificabile. Come il colore nei pittori veri. Al vinile e al suo utensile di riferimento, il giradischi, è legata un’intera epoca sonora. Poi – conclude Marras – vuoi mettere poter guardare il disco che gira? Come la giostra. Il braccio, la puntina, Che magia. C’è un rapporto causa-effetto ben visibile, direi quasi rassicurante, rispetto al misterioso digitale, tutto numeri».

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La poesia dell’ascolto. Alla seduzione del vinile non resiste nemmeno Gino Marielli, chitarrista dei Tazenda sin dagli esordi. «Quando nel 1990 la Dischi Ricordi stampò il cd “Tazenda” – racconta – dovetti andare a comprare il lettore che sostituì per sempre il mio mitico giradischi Pioneer. Da quel momento, forse triste, la musica con i suoi supporti freddi iniziò a girare a una velocità molto elevata e il tasso di poesia del vivere l’ascolto diminuì progressivamente. Non si tratta di nostalgia – precisa – perché col mio lavoro ho cavalcato con entusiasmo Dat, mini disc, mp3 e ogni formato che mi si è presentato davanti. Però sono strafelice che il vinile abbia dormito per circa venticinque anni e ora, come la bella addormentata baciata dal principe azzurro, si stia risvegliando. Lieto fine? Non so, ormai tutto si morde la coda e gira all’infinito. Come un disco rotto, appunto».

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Giradischi e social club. Nel frattempo, comunque, riprende a respirare l’indotto legato al mondo del microsolco: le famose puntine non sono più introvabili e soprattutto è in grande crescita la produzione di giradischi. Inoltre, nascono spazi dove si dichiara con orgoglio – un po’ come se si esibisse un marchio di qualità – che in quel locale si ascoltano soltanto “dischi veri”. A Cagliari, ad esempio, l’Exmà ospita il “Radio X Social Club”, luogo dove l’emittente radiofonica trasmette in diretta e “a vista” , con il pubblico che riempie i tavolini dal mattino sino a tarda sera. «Da noi – spiega Sergio Benoni, giornalista e fondatore di Radio X – non poteva mancare uno spazio dedicato al culto del vinile. È quasi una piccola cripta, visto che l’abbiamo allestito nel basement che ospita i djset e le esposizioni d’arte. L’idea nasce dalla collaborazione con Mono Music Shop, il negozio del nostro amico dj Bettosun, che cura gli ordini e l’assortimento dei dischi. Ci è sembrato bello – continua Sergio Benoni – provare a reinventare un luogo e un’esperienza così cara a chiunque ami la musica e abbia più di quarant’anni: un negozio di vinile non era solo il posto dove si comprava la musica, era prima di tutto un luogo di incontro, di ascolto condiviso, di scoperta. Esattamente quello che più manca oggi, nell’era dello streaming illimitato ma sempre più solitario. Il nostro Social Club – aggiunge – vuole essere proprio questo: un laboratorio di comunicazione, un’esperienza creativa da vivere insieme. Con la musica al centro, a fare da collante».

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Shopping compulsivo. Infine, il parere di chi i dischi in vinile li usa nei club. Il commento semiserio è di Bobo Siotto (commercialista), che assieme al suo amico Davide Volponi (imprenditore) colleziona dischi e molto spesso è chiamato ad animare le serate. «Non esiste nessuna garanzia – dice – che una serata vinilica sia meglio di una in cui si suonino mp3 da una chiavetta Usb: si possono far girare sui piatti dischi inascoltabili come selezionare brani fantastici in formato compresso. Sta di fatto che il 99,9 per cento delle volte in cui in un locale sentirete musica insulsa il dj sarà un personaggio improbabile dietro un Mac, mentre la stessa cosa accade molto raramente nel caso in cui la console sia formata da un mixer e due Technics 1200. E questo perché dietro l’acquisto più o meno compulsivo di vinili si nasconde, oltre che una patologia pressoché incurabile, conoscenza, curiosità e una vera passione per la musica. Cos’altro potrebbe spingere una persona sana di mente a trascorrere ore (ma potrebbero essere giorni, magari con una moglie esasperata pronta a lasciarvi seduta stante, riportandovi improvvisamente alla realtà) dentro polverosi negozietti di periferia o assurdi mercatini di qualunque parte del mondo? Sul fascino esercitato dai vinili sui più giovani – dice ancora l’esperto –, io da “non più giovane” posso solo ipotizzare un effetto nostalgia di un’epoca mai vissuta, lo stesso che ha spinto molti appassionati della mia generazione a riscoprire e ad amare a posteriori il jazz, il soul e il funk degli anni Sessanta e Settanta. D’altronde un concerto di John Coltrane al Village Vanguard doveva essere molto più cool di una fila per entrare in discoteca con un omaggio coppia in scadenza».

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