La Nuova Sardegna

Leggi razziali, quei sardi che chiusero un occhio

di Andrea Massidda
Hitler e Mussolini
Hitler e Mussolini

Cosa accadde nell’isola: anche lo scienziato Giuseppe Brotzu si adeguò

26 gennaio 2018
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Con le sue importanti scoperte scientifiche – si pensi alle cefalosporine, antibiotici molto simili a quella penicillina che valse il Nobel a Fleming – contribuì a salvare chissà quante vite umane. E ancor prima che si diffondesse l’uso del Ddt si adoperò in prima linea nella lotta al flagello della malaria, tanto che la più grande azienda ospedaliera della Sardegna è intitolata proprio a lui. Eppure nel brillante curriculum del medico e farmacologo cagliaritano Giuseppe Brotzu, che nel secondo dopoguerra fu anche presidente della Regione e sindaco del capoluogo, c’è una macchia nera quanto le camicie dei fascisti. Una macchia rimasta sinora quasi invisibile: quando nel 1938 il regime approvò le leggi razziali, il luminare, all’epoca rettore della Regia Università di Cagliari, non soltanto si pregiò di fornire al prefetto l’elenco dei «professori di razza israelita» in forza all’ateneo, ma addirittura – con la stessa solerzia che metteva nella ricerca dei battericidi – pensò di segnalare anche il nome di un docente (tale Carlo Maiorca, straordinario di Diritto privato), sul quale non aveva indicazioni precise, tuttavia rilevava «qualche elemento di dubbio nel cognome della madre». Un imbarazzante eccesso di zelo riportato su una lettera da lui firmata nel pieno della campagna antisemita che la propaganda mussoliniana aveva già avviato da qualche mese. Il documento choc, conservato nell’Archivio di Stato di Cagliari, è stato rinvenuto e pubblicato di recente nel volume “Le leggi razziali in Sardegna”, curato da Alessandro Matta, che su l’argomento ci ha fatto la sua tesi di laurea. «Tutti i professori censiti in Sardegna come ebrei nell’agosto del 1938 – precisa Matta, ora praticante avvocato – furono poi allontanati dall’insegnamento per effetto di un Regio Decreto del 5 settembre 1938. Lo stesso accadde per gli studenti».

Le reazioni nell’isola.

Ma, a parte questo caso eclatante, quale fu la reazione dell’intellighenzia sarda davanti a certi provvedimenti scellerati? È possibile che in ambienti culturalmente e politicamente avvertiti non si avesse consapevolezza degli effetti tremendi che le teorie sulla razza avrebbero avuto sulle persone nel mirino? «Nell’isola – spiega lo storico Manlio Brigaglia – non ci fu una grande reazione, come nel resto d’Italia. Il Paese era imbevuto dell’ideologia fascista e l’antisemitismo circolava tranquillamente. Anzi, ricordo il grande successo che ebbe a Sassari il film “Süss l’ebreo”, inventato e costruito da Goebbels, autentico capolavoro della sua campagna antisemita. Le istituzioni scolastiche erano state educate così. Per quanto sembri incredibile, dunque, in genere gli uomini di cultura non si resero conto della crudeltà di tali norme».

Zelo burocratico e fascista.

Sarà. Di sicuro, però, Brotzu non fu l’unico a far finta di nulla davanti a certe nefandezze. Lo racconta bene Giuseppina Fois, professore associato di Storia contemporanea alla facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. «Qualche settimana prima dell’emanazione delle leggi razziali – rivela – il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai diramò a tutte le autorità una circolare nella quale si chiedeva di trasmettere a Roma l’elenco del personale di razza ebraica. E l’ateneo sassarese rispose allegando il prospetto ministeriale debitamente compilato, nel quale figuravano tre docenti di razza ebraica per parte di padre: Michelangelo Ottolenghi, Emilio Morpurgo e Franco Ottolenghi, gli ultimi due di religione cattolica». Fatto sta che il rettore Carlo Gastaldi non si comportò molto diversamente dal suo omologo cagliaritano: nell’informare il ministero attraverso una lettera sottolineò infatti «con zelo burocratico e fascista» che Morpurgo e Franco Ottolenghi risultavano comunque «di discendenza dalla razza ebraica» e pertanto chiese di essere avvertito con urgenza se vi fossero stati provvedimenti da adottare nei loro riguardi. «Il tono della comunicazione rettorale – commenta ancora Giuseppina Fois – corrispondeva, sia pure con qualche compiacimento, al clima di caccia alle streghe cresciuto nell’intero Paese e persino in una provincia dove la questione della presenza ebraica non aveva alcuna rilevanza storica recente. Non fu casuale se in quegli stessi giorni lo stesso Gastaldi dovette smentire per telegramma la falsa notizia secondo la quale i professori Sergio Costa e Antonio Segni, futuro presidente della Repubblica, sarebbero stati di “razza ebraica”».

Il sarcasmo di Emlio Lussu.

In un suo famoso articolo pubblicato nel novembre del ’38 su “Giustizia e libertà”, Emilio Lussu ridicolizza con sarcasmo le leggi razziali e fa i nomi di alcuni illustri sardi che aderirono al manifesto della razza: Lino Businco (che ne fu addirittura il primo firmatario, nonché membro del comitato di redazione della famigerata rivista “La difesa della razza”) e poi, scrive sempre il fondatore del Psd’Az, «i dottori Zonchello, Cao, Pintus, Maxia e Pirodda».

Il paradosso di Zaira Coen.

Anche in Sardegna la persecuzione non risparmiò chi, pur essendo di religione ebraica, aveva aderito al Pnf. È il caso della professoressa Zaira Coen Righi, docente di Scienze al liceo classico “Azuni” di Sassari, che sarda non era ma viveva in città con il marito, lo scienziato Italo Righi, morto nel ‘38. «Era iscritta al partito e all’Associazione fascista della scuola – ricorda Alessandro Matta –, ricopriva incarichi nelle organizzazioni femminili e partecipava alle attività del Fascio sassarese. Ma tutto questo non bastò a evitarle un destino atroce. Allontanata dall’istituto, vedova e senza più un soldo, raggiunse a Firenze la sorella Ione. A denunciarle ai nazisti nel 1944 – continua – fu, in cambio di denaro, il portiere dello stabile nel quale abitavano. Subito arrestate finirono su un convoglio piombato diretto ad Auschwitz. Lo stesso su cui viaggiarono i sopravvissuti Piero Terracina e Nedo Fiano. Le sorelle Coen, 65 e 61 anni, appena sbarcate all’inferno non vennero ritenute idonee al lavoro e furono spedite nelle camere a gas». Una lapide ricorda Zaira nel cimitero di Sassari.

Le delazioni.

«Ma le prefetture sarde – evidenzia infine Matta – ebbero anche a che fare con denunce anonime. C’è una lettera firmata “Un gruppo di musicisti napoletani (non ebrei)”, che invoca provvedimenti contro il maestro Renato Fasano, direttore del Liceo musicale di Cagliari».

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