La Nuova Sardegna

Niffoi: «Cercare le origini per ritrovare se stessi»

di Paolo Curreli
Niffoi: «Cercare le origini per ritrovare se stessi»

In edicola venerdì 2 febbraio “Ritorno a Baraule” dello scrittore di Orani

28 gennaio 2018
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Parlare con Salvatore Niffoi è come tentare di seguire i percorsi di un torrente tra le querce e il granito, comprendere le mutazioni di colore dei petali dei mandorli che stanno fiorendo, adesso, in Barbagia: un’operazione impegnativa ma che arricchisce. Perché ogni parola e allegoria del “venditore di metafore” non è un esercizio barocco, una decorazione estetica, un packaging della merce letteraria ma una affermazione reale e veritiera del suo modo di vedere e di interpretare il mondo e l’umanità che lo abita.

Un universo intero che si manifesta nella Sardegna e nella sua Barbagia, un centro di gravità permanente a cui si ritorna sempre. «Ho viaggiato tanto, non mi considero un provinciale, ho percorso il mondo fin da giovane – racconta lo scrittore di Orani –. Eppure ancora adesso quando sono lontano, porto solo la carrozzeria fuori e mi sento sempre qui in paese con quel prurito ai piedi, che i sardi conoscono bene: la voglia di ritornare. Questo non significa che vivere in Sardegna sia la cosa migliore o che essere sardi significhi automaticamente non essere cretini. E che qui, anche adesso, vedo i colori dalla finestra, mangio le cose del mio orto e, come dicono gli inglesi, sento l’erba crescere. Bisognerebbe ritrovare nelle nostre teste l’estetismo del bello. Una bellezza che stiamo rovinando e perdendo». Il ritorno, la ricerca di qualcosa che se si è perduto è uno dei temi centrali della poetica di Niffoi, come nel suo romanzo “Ritorno a Baraule” primo volume della collana “Scrittori di Sardegna”. Una serie di titoli che raccolgono le voci dei migliori autori sardi contemporanei, libro che sarà in edicola col giornale dal 2 febbraio. «Nel ritorno di Carmine Pullana, il protagonista del romanzo – spiega Niffoi – mi ritrovo. Il suo è un viaggio alla ricerca delle sue origini. Il medico, che si è affermato lontano, sente la mancanza di una ricchezza immateriale: dell’appartenenza. Sente di avere dietro di se una storia che non conosce. Un po’ come tutti noi sardi, schiavi senza storia e servi senza memoria. Alla fin fine cerca le sue origini per ritrovare se stesso».

La vicenda del ragazzino abbandonato che diventa un chirurgo famoso che vuole ritornare nel suo paese si svolge, ancora una volta, nel fantasmagorico mondo di toponimi, nomi e sopranomi dell’universo sardo di Niffoi. «Ma la Sardegna non è una cornice dove ambientare le mie storie – sottolinea lo scrittore –, l’isola è una protagonista fondamentale. Il mio è un processo creativo di nominazione anche di piante, luoghi, montagne. Una geografia curata e maniacale. Amo la scrittura materica, non sono per la nouvelle cuisine letteraria e nemmeno per quella gastronomica, se per quello. I miei personaggi non sono mai macchiette, ma nomi, storie, menti. Persone che ho conosciuto o che mi hanno colpito che mi chiamano supplici. Le loro voci parlano come sassi in un barattolo a cui devo dare un animo».

Salvatore Niffoi, studioso di poesia e letteratura con Carlo Salinari e Tullio de Mauro, insegnante, romanziere, ma anche ceramista, pittore e contadino ha un rapporto con la creatività forte e totalizzante.

«Non amo il catering o il karaoke culturale e non amo i juke box che ripetono a comando – precisa Salvatore Niffoi –. Il processo creativo deve sempre uscire dalla serialità e inventare qualcosa di unico e personale. Se mi serve un colore lo cerco non lo copio, le cose devono emozionare. La coralità non deve diventare coro».

La lettura per Niffoi richiede impegno: «È un atto religioso e intimo da intraprendere in solitudine. Tutta la cultura richiede impegno e pazienza. Vengo da una famiglia povera e il mio incontro con la lettura è cominciato coi fumetti che mi comprava mia madre. Solo in un secondo momento mio nonno, che faceva il guardiano della miniera, cominciò a prestarmi i suoi preziosi romanzi: tutti i grandi classici europei li ho letti grazie a lui. Oggi la scuola non contribuisce alla lettura, ma leggere è una vocazione che non avviene sotto dittatura. Dopo 45 anni con mia moglie ci scambiamo ancora i libri».

Anche la scrittura per Niffoi è una vocazione seria e precisa: «Scrivo solo se ho qualcosa da dire – precisa lo scrittore –, non sono un tuttologo. Seguo fino alla fine i miei lavori, sono tra i pochi che si scelgono i titoli e le copertine. Sono creature mie e non le posso affidare ad altri. Sono capace di allungare la fase di riscrittura finché non sono completamente soddisfatto, l’ultimo mio lavoro l’ho rivisto 27 volte. Non mi fido degli editor, spesso sono critici pieni di livore che vorrebbero impadronirsi dell’arte che non gli appartiene». E poi ci sono i lettori. «Il lettore è sempre un protagonista, per questo non bisogna proporgli mai la verità assoluta dopo che si è tuffato nell’inconscio del narratore. Io ho una tecnica imparata da mio nonno che aveva un campo di meloni – conclude Niffoi – , assaggiava il primo per vedere se tutto il filare era buono. Insomma, a me basta l’incipit».

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