La Nuova Sardegna

Dietro il delitto la verità nascosta di Sidora Molas

di Alessandro Marongiu
Dietro il delitto la verità nascosta di Sidora Molas

Da domani “Ritorno a Baraule” di Niffoi apre la collana “Scrittori di Sardegna”

01 febbraio 2018
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«La prima cosa che Carmine Pullana vide quando arrivò a Baraule fu una vecchia che salutava tutti quelli che passavano toccandosi i genitali imbrattati di argilla rossa. Se ne stava sopra una montagnola di sabbia, ululando come una cagna mestruata dal male di vivere»: un altro, davanti a una scena così, sarebbe forse scappato a gambe levate, ma lui, Carmine Pullana, no, non scappa. E se non scappa è perché lì, nel paese che gli ha dato i natali, s’è deciso ad andarci per uno scopo ben preciso, cioè «tentare di recuperare i tasselli» che mancano «al mosaico della sua identità», e con peraltro poco tempo a disposizione per raggiungerlo, quello scopo, dato che un male gli sta consumando i polmoni e gli fa sputare sangue a ogni colpo di tosse.

Chirurgo in pensione. Il chirurgo ora in pensione è cresciuto lontano, a Lerizori, tirato su da Gantine Pullana e da Carmela Navalis, coppia facoltosa e rispettata che l’ha comprato («per investire affetto, denaro, terre, bestiame») da Martine Ragas, il pescatore che una mattina di sessant’anni prima l’ha trovato impigliato nelle reti e salvato da morte sicura. Martine e sua sorella Battistina l’hanno cresciuto per un po’ come fosse figlio loro, ma poi, «fame a coscia e merda alle ginocchia», per usare le esatte parole dell’uomo, non hanno saputo o potuto resistere al richiamo dei soldi dei Pullana, con buona pace dei sentimenti (e in seguito di Battistina, a cui il dolore è risultato fatale). Il pescatore è uno degli abitanti di Baraule che Carmine, senza mai o quasi rivelarsi, interroga sul sabato in cui vide la luce in una spiaggia, mentre a pochi passi l’annuale processione trasportava la statua di San Salvatore dal paese alla chiesetta del villaggio. I testimoni, per lo più indiretti, sono un vecchio priore laico della confraternita, una pescivendola godereccia, le due suore sui generis Mariangela ed Elisabetta, che dimorano nel convento delle Carmelitane Scalze aggrovigliato sulla punta di Sa Marchesa «come una meringa scacariolata da una nuvola stitica», un autista di pullman alcolizzato, e così via.

Dicerie e omissioni. Il protagonista li ascolta tutti, disincagliando le parti che lo riguardano dai racconti autobiografici che ognuno di quelli gli rifila con dettagli e divagazioni, e si fa sempre più convinto che tra dicerie, omissioni e mezze bugie, la verità vada scovata altrove. Ma dove? Incontro dopo incontro Carmine acquisisce una sola certezza, ovvero che a portarlo in grembo fu Sidora Molas. Oltre a questo, giusto dubbi e vuoti da colmare: da chi sia stato il suo vero padre (il marito di Sidora, Bertu Mazza, o un suo amante?), alla dinamica dei fatti che anticiparono la sua venuta al mondo. Realmente Bertu, come vuole la vulgata dei baraulesi, accecato dalla gelosia e dalla prospettiva di diventare uno zimbello in quanto cornuto, aprì la pancia della moglie tra urla e accuse, ne estrasse il feto gettandolo via e poi, per concludere, affogò la donna? C’era qualcun altro sul luogo, e se sì, chi? Per l’ex medico la strada da percorrere sarà ancora molto lunga, e tutta in salita.

In “Ritorno a Baraule”, in edicola da domani con La Nuova Sardegna per la prima uscita della collana “Scrittori di Sardegna” (a 6,70 euro più il prezzo del quotidiano), il lettore non faticherà a ritrovare i tratti distintivi di tanta produzione partorita dall’isola nel Novecento.

Radici nella tradizione. Il romanzo di Salvatore Niffoi, esemplare della sua prosa, è infatti saldamente ancorato alla tradizione narrativa sarda del secolo scorso: una toponomastica di fantasia, personaggi che fin dalla nascita portano sulle spalle il carico di un destino avverso – i cosiddetti “malasortati” o “malfatati” –, caratteri umani che si riflettono in quelli della natura e del paesaggio e viceversa, una scrittura di metafore e di similitudini.

Allargando appena il campo rispetto all’opera in sé, pubblicata in origine da Adelphi nel 2007, esemplare si può definire anche la parabola del contastorie di Orani il quale, come molti altri sardi, e tra questi ricordiamo Alessandro De Roma, Flavio Soriga, Gianluca Floris, è giunto a un contratto con un editore di grande livello dopo essersi fatto notare grazie all’intuizione e all’intraprendenza de Il Maestrale di Nuoro.

Venditore di metafore. Per dar conto dell’ultima generazione di autori isolani, di cui Niffoi è uno dei rappresentanti di maggior successo, non si può dimenticare il ruolo dei nuoresi, abili a intercettare tra fine anni Novanta e inizio di Terzo millennio nuove voci, nuove istanze, nuove forme di raccontare il mondo a partire dalla Sardegna. È dopo “Il viaggio degli inganni”, “Il postino di Piracherfa”, “Cristolu” e “La sesta ora”, pubblicati appunto da Il Maestrale, e dopo “La leggenda di Redenta Tiria”, uscito da inedito con La Nuova, che Niffoi ha oltrepassato il mare: da allora, otto libri con Adelphi (tra cui le riproposizioni di “La leggenda di Redenta Tiria” e dell’esordio “Collodoro”), due con Feltrinelli e uno, “Il venditore di metafore”, l’ultimo dato alle stampe, con Garzanti.

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