La Nuova Sardegna

«Ho stregato New York con la mia anima sarda»

di Antonio Mannu
«Ho stregato New York con la mia anima sarda»

Trionfo alla Carnegie Hall per il musicista di Palau, in partenza per il tour nel Nord America

03 febbraio 2018
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«Il concerto alla Carnegie Hall è stato, più che punto d’arrivo, una nuova partenza». Per Paolo Angeli la consacrazione americana arriva con largo anticipo rispetto ai riconoscimenti europei. Tra il 2001 e il 2003 si esibiva nelle più importanti gallerie d’arte, club e festival d’avanguardia, registrando diversi dischi dal vivo. Apripista tra gli italiani di una poetica che sintetizza generi musicali assai diversi, ha tra i suoi estimatori Fred Frith e Pat Metheny, chitarristi che hanno fatto la storia della sei corde in ambiti differenti. «A New York ho suonato tantissime volte, al Vision Festival o in club dell’East Village legati alla scena underground e all’avanguardia. Questo ritorno per suonare in un tempio della musica, uno dei luoghi più emblematici che esistano, portando la Sardegna contemporanea e uno strumento, la mia chitarra, difficilmente catalogabile, con un repertorio che non è tradizione, non è jazz, non è rock, ma sta in bilico tra questi ambiti, è stato una sorta di sdoganamento di una poetica musicale storta, che galleggia sopra generi compiutamente definiti e che, come è normale sia, non ha avuto vita facile. Questa riflessione mi ha dato una serenità e una gioia che, quando ho cominciato a suonare, mi ha reso tranquillo e rilassato. E’ stata una festa».

STANDING OVATION Il risultato? Due standing ovation per il chitarrista e musicologo di Palau e un solo per voce e chitarra preparata che ha sfiorato le due ore, in una sala gremita in ogni ordine di posti. Un’esibizione che ha coronato un percorso ventennale, aperto dal visionario musicista sardo con la creazione di uno strumento-orchestra unico al mondo, con il quale ha poi costruito un personalissimo repertorio documentato in ben 9 album in solo. «In qualche modo è stato anche il risultato di un lungo periodo di elaborazione che ho vissuto a Barcellona, città dove risiedo da undici anni. Prima ho abitato per molto tempo a Bologna, dove per me erano ancora presenti delle convenzioni, forse delle convinzioni, che mi portavano a tenere separate le due anime del mio mondo musicale e culturale: da un lato avanguardia e sperimentazione, da un altro la mia passione per la tradizione sarda, per il canto a chitarra e per quello a cuncordu. Quando mi sono trasferito a Barcellona è mutato il contesto sociale e culturale in cui ero immerso a Bologna. Lì la mia figura era quella di uno sperimentatore radicale che non aveva, non doveva avere, legami con la musica tradizionale. A Barcellona ho fatto pace con me stesso, ho risolto i miei conflitti».

IL CONCERTO. Nella sala Zankel della Carnegie Hall Angeli ha dialogato intimamente col pubblico, proponendo una scaletta in gran parte basata sull’improvvisazione. Il concerto è iniziato con una lunga sezione di ispirazione mediterranea, in cui hanno trovato spazio le atmosfere flamenche di Porto Flavia, legata in forma di suite alla struggente Sponde. Di seguito una sequenza ininterrotta, che ha incluso brani come Mascaratu, le atmosfere rarefatte del Tibi e le sperimentazioni rumoristiche alla base di un’avvincente interpretazione del brano Brida. Quindi un crescendo di orchestrazione mozzafiato, con l’immancabile Corsicana, Unravel di Björk, e la suite S’Û, esplicita dedica al dramma dei migranti nel Mediterraneo, preceduta da una riflessione sulla quasi quotidiana tragedia che miete tante vittime innocenti e sulla nostra apatia di persone più fortunate e garantite, conclusa con una versione a cappella dello Stabat mater. Dopo la prima standing ovation Angeli si è congedato con due bis: Tra una gamba e l’Altra e Primavera Araba, magistrale rilettura del canto in fa diesis logudorese. «Ogni volta che cito la tradizione, sia in modo implicito, con una pulsazione che ricorda il ballo o le launeddas, o in maniera palese, con un canto a chitarra rivisitato, con una tasgia gallurese o un canto processionale reinterpretato, si chiude un cerchio. Questo trascina il pubblico verso un mondo misterioso, perché comunque, al di la di qualche eccezione come i Tenores di Bitti o Maria Carta, la tradizione musicale sarda è poco conosciuta nel mondo. E a proposito di Sardegna: nel giro di pochi mesi due musicisti isolani, entrambi chitarristi, pur se attivi in ambiti profondamente diversi, si sono esibiti alla Carnegie Hall. Lo scorso luglio infatti ha suonato qui il nuorese Cristiano Porqueddu, un grande interprete della chitarra classica».

NEW YORK. Quest'ultima splendida avventura newyorchese è nata «Molto semplicemente, con una mail inviata alla Carnegie Hall. Abbiamo ricevuto una risposta dopo mezz’ora, ci hanno scritto che il mio repertorio rientrava nella sezione World, Pop and Jazz e che avremmo avuto una risposta entro sei mesi. Così è stato. Paradossalmente è stato molto più semplice che esibirmi a Sassari, dove non suono da anni, o più in generale in Italia. Che cosa ho fatto prima di suonare? Ho ascoltato il canto in Re “A Ora silenziosa” di Mario Scanu, accompagnato dal fratello, il mio maestro Giovanni Scanu, una gemma preziosa prodotta negli anni ’60 da Mario Cervo. E dopo il concerto Siamo stati insieme a degli amici. Diversi musicisti mi hanno aspettato all'uscita, dopo che ho finito di smontare, per farmi i complimenti. Mi ha fatto molto piacere l’entusiasmo di Ashley Khan, un importante critico che ha vinto il Grammy Award con un testo su Coltrane. Ci siamo rivisti anche il giorno dopo il concerto. Ci teneva a dirmi di persona quanto fosse stato bello e intenso. Un incontro interessante e stimolante, con un personaggio di grande spessore che insegna storia del jazz all’università qui a New York e svolge conferenze in tutto il mondo. Ashley ha una cultura musicale vastissima, lo conoscevo e mi aveva già sentito suonare. Ma questa volta era davvero elettrizzato»!

IL TOUR. Il chitarrista sardo si afferma quindi come stella di punta a livello internazionale di una musica senza steccati, profondamente radicata nella tradizione sarda, in cui convivono l’improvvisazione di matrice jazz, linguaggi contemporanei, influenze riconducibili al flamenco, al post rock e alle musiche del mondo. Il tour nord americano, realizzato in collaborazione con gli Istituti Italiani di Cultura di Washington, Chicago, Toronto, Montreal e il Consolato di Vancouver, è proseguito con un concerto all’Ambasciata italiana di Washington, dove Angeli si è esibito martedì scorso. Toccherà poi Chicago, Toronto, Montreal e altre città del Quebec, Ottawa e Vancouver.

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