La Nuova Sardegna

“Il giardino non esiste”, il mondo magico di Alberto Capitta

Alessandro Marongiu
Piazza d'Italia (foto Giovanni Porcu)
Piazza d'Italia (foto Giovanni Porcu)

Venerdì col giornale il romanzo dell’autore sassarese. Il terzo volume della collana “Scrittori di Sardegna”

13 febbraio 2018
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«Non c'è altro modo per me di scrivere che farlo a mano. Cerchiare le parole con penne di vari colori, cancellarle di netto, sottolineare alcune frasi, disegnare frecce di rimando e tanto altro fa parte della mia idea organizzata di scrittura. Con la scrittura a mano ho la possibilità, ritornando indietro nelle pagine, di rivedere i miei dubbi, la parola scritta, poi cancellata, poi riabilitata, un lavoro di scavo, di testimonianza materiale del dubbio e dunque della scelta. Non solo: spesso il mio quaderno aperto è costellato di specchietti, di elenchi, di nomi, termini, verbi, dialoghi, versi, il tutto da controllare simultaneamente, suoni che girano contemporaneamente. È una proiezione visiva di estrema importanza, la mia mappa mentale sul quaderno»: per introdurre Alberto Capitta e la sua opera, difficile trovare un'immagine più efficace di questa, affidata dallo stesso Capitta a Piero Fadda che lo intervistava per CriticaLetteraria.org all'indomani della proclamazione di "Alberi erranti e naufraghi" a "Libro dell'anno" da parte degli ascoltatori di Fahrenheit, il programma di Radio3 dedicato ai libri.

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L'orafo della parola. Già da queste poche frasi emerge il profilo di un autore come se ne trovano ormai sempre più di rado, un orafo della parola, prezioso, lui, almeno quanto la materia che plasma. Direbbe che da questa materia, in quasi venti anni, sono nati "appena" cinque romanzi solo chi non li avesse letti e non ne conoscesse quindi il peso specifico, o chi si fosse arreso alla grafomania dei giorni correnti, dietro la quale il più delle volte si nasconde ben altro dalla volontà o necessità di avere qualcosa da dire e da trasmettere. Capitta sa prendersi il suo tempo, e il pubblico lo apprezza anche per questo. E così, nella figura di Giuliano Arca, il protagonista di "Alberi erranti e naufraghi" che parte alla ricerca del padre portando con sé una sedia, è facile intravedere tanto il sassarese («Credo che gli uomini abbiano perduto il legame col libero pensare. Intendo con lo spaziare del pensiero, col guardarsi intorno, col dedicarsi all'osservazione più pura della realtà per accorgersi una volta di più di quanto sia stupefacente il semplice stare al mondo. Per farlo occorre una sedia, occorre fermarsi, come il personaggio del mio libro, sedersi in mezzo a un campo o a una via o dove si creda. L'osservazione del mondo come momento centrale della propria esistenza. Respirare la condizione umana») quanto i suoi lettori, "costretti" da una prosa così unica a ritagliarsi dei momenti, quanto mai propizi e salutari, di sospensione dalla quotidianità.

Recensioni positive. L'esordio di Alberto Capitta è datato 1999, quando per Guaraldi esce "Il cielo nevica", successivamente riproposto in una nuova versione da Il Maestrale. La storia di Norma D'Apice e di suo figlio Domenico lascia subito il segno: stralunati e ai margini della società, i due sono raccontati con un lessico che nomina con esattezza estrema gli oggetti e gli elementi della natura, e con un registro alto cui fanno da contraltare improvvise, irresistibili esplosioni verbali tendenti al basso che non possono che suscitare il riso. Del 2004 è "Creaturine", che l'anno seguente, nella coedizione Il Maestrale/Frassinelli, arriva in finale al Premio Strega. Il punto di forza più evidente (ma non il solo) va rinvenuto nella scrittura: sul Domenicale del Sole24Ore Giovanni Pacchiano ne parla come di quella «più bella in cui ci siamo imbattuti in questa stagione (anzi, molto oltre): accesamente e ossessivamente metaforica; nel contempo, visionaria».

Il suo romanzo con La Nuova. Altri dodici mesi e arriva la vittoria al premio indetto dalla rivista Lo Straniero: «È il meno noto, ma uno dei più interessanti tra gli scrittori di una straordinaria fioritura sarda», si dice di Capitta nelle motivazioni, mentre del libro, appena dopo, che è «incantevole per la sua apertura fiabesca, per la sua attenzione al paesaggio, per la ricchezza e diversità delle sue figure». Nel 2008 è la volta di "Il giardino non esiste", in edicola venerdì 16 con La Nuova per il terzo appuntamento della collana "Scrittori di Sardegna". La vicenda di Carmen, della sua famiglia e della sua malattia è impreziosita dalla «capacità straordinaria di raccontare la natura trasfigurandola e mettendola in relazione profonda con l'uomo» (così Santa Di Salvo su Il Mattino), e ci lascia «un senso di bellezza: un incantesimo misterioso che ci porta a chiamare gli amici più cari, per condividere le emozioni di una lettura diversa» e che non si dimentica facilmente (così, invece, Nicola Lecca). Il già citato "Alberi erranti e naufraghi" del 2013, carico di echi biblici, si aggiudica, oltre al primo posto nelle scelte del pubblico di Fahrenheit, anche il Premio Brancati e il Premio Letterario Città di Osilo; "L'ultima trasfigurazione di Ferdinand" (2016), che pone al suo centro un uomo di teatro - e anche uomo di teatro è Capitta, oltre scrittore - è secondo Ermanno Paccagnini, che lo recensisce nell'inserto La Lettura del Corriere della Sera, «un romanzo diverso dai precedenti, dei quali resta però la cura stilistica, fatta di dialoghi parchi, di scambi prospettici nei monologhi, d'immagini evocative che si traducono in fisicità dell'impalpabile o viceversa».

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