La Nuova Sardegna

I luoghi incantati di una donna senza confini

di Alessandro Marongiu
I luoghi incantati di una donna senza confini

Domani la terza uscita di Scrittori di Sardegna “Il giardino non esiste” di Alberto Capitta 

15 febbraio 2018
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Quattro donne. La prima e più importante la conosciamo ch’è ancora bambina. Si chiama Carmen e vive in una ricca abitazione con il padre Romeo Scalas, la matrigna Flora e i due fratellastri Michele e Lorenzo, più piccoli di lei e gemelli. Della freddezza con cui Flora la tratta, e della sottomissione alla moglie di Romeo – genitore comunque, per molti aspetti, amabile e premuroso –, Carmen riesce a non fare un problema; e poi ha i fratelli con cui giocare e spaventare per divertimento le domestiche, e un luogo segreto in cui può entrare solo lei, un giardino in cui la natura assume forme inconsuete e stupefacenti, e dove un’asina, forse la sua madre morta, le si accosta e le parla. È nell’incanto di quel posto che Carmen può scrivere su di un quadernetto le sue storie e sfamare le sue bisce con uova e latte, ed è lì più che altrove che è libera dal peso della malattia che ogni tanto le invade il corpo con delle tremende scosse.

ZIA ADORATA. La seconda delle donne si chiama Olga ed è la zia di Romeo. I tre pronipoti la adorano, e si stupiscono quando lei s’accende una sigaretta e fa uscire il fumo da un foro che ha in gola, ricordo di un’operazione subita tempo addietro. Conversa poco ma sa farsi capire, e all’occorrenza, se termini e gesti non bastano, tira fuori un cartoncino con su scritto “Non rompetemi i coglioni”. Dopo la tragedia che ha visitato la famiglia Scalas, è lei a portar via con sé e a salvare Carmen, che per volontà di Flora, senza che il marito avesse saputo opporsi, era andata sotto i ferri dei chirurghi risvegliandosi spogliata della sua meravigliosa immaginazione e di ogni slancio vitale.

FLORA. La terza è Flora. A Carmen che, salutata per sempre Olga, la rincontra dopo oltre quindici anni, appare come il principio della desolazione fatto carne. Non ha più niente al mondo se non le pareti decrepite in cui piangere la vita che fu; della persona altera, fiera della propria prole fino all’esibizionismo e autoritaria con la servitù sono rimaste giusto le macerie. Carmen potrebbe recriminare o vendicarsi, e invece cerca di aiutarla, ristabilendosi nella sua vecchia città e trovando un impiego, finché il gorgo oscuro della matrigna non finisce per risucchiare anche lei.

INNOCENZA. La quarta è Innocenza. A servizio presso i Scalas fin da ragazzina, ha dovuto ricominciare tutto da capo dopo esserne stata licenziata. Ha continuato a lavare, sciacquare e lucidare così tanto le proprietà altrui da assomigliare nel fisico a scale e pavimenti, e quando non ne ha potuto più, grazie a un intervento del caso ha incontrato un uomo, un ladro gentile con in serbo infinite sorprese, e s’è innamorata. La polizia ha messo però fine alla relazione troppo presto, e allora, dopo un frenetico peregrinare, anche lei è tornata al punto di partenza: la casa del centro storico in cui aveva lavorato per Romeo e in cui l’aveva visto crescere i suoi figli, una casa che sembra una calamita per come fa convergere al suo interno i destini delle protagoniste. Per Innocenza, cercare di risollevare la situazione in cui sono precipitate Carmen e Flora non sarà facile. Se buona parte di ciò che racconta “Il giardino non esiste” di Alberto Capitta, da domani in edicola con La Nuova per la collana “Scrittori di Sardegna” (a 6,70 euro più il prezzo del quotidiano), si svolge quando la figura centrale, Carmen, è adulta, è pur vero che è il suo spirito fanciullo a trasmettere al lettore vista, olfatto, tatto, udito e gusto–quello stesso spirito che le vicende minano con insistenza una pagina dopo l’altra, ma non riescono ad annullare mai completamente.

LA PUREZZA. Il romanzo dell’autore sassarese sembra l’ideale incarnazione di queste sue parole sulla reale qualità dell’infanzia, tratte da un’intervista del 2013: «La chiamerei purezza. L’innocenza, che può presto mancare, è qualcosa che ha a che fare con le regole comportamentali, coi codici e con le leggi ed è tutta umana. La purezza viene invece dalle stelle. I bambini ne sono intrisi; forse è a questa, a questa dimensione cosmica dell’uomo, che fa riferimento la nostra nostalgia dell’infanzia. Poi si cresce e più si cresce più va perdendosi la materia delle galassie di cui siamo fatti. Ma non sempre è uno sperpero totale, in alcuni qualcosa si salva, si mantiene dentro di loro anche in età adulta. Sono esseri speciali, spesso inconsapevoli del dono che hanno conservato, individui che dovranno affrontare un mondo torbido, rozzo, di ignavi, un mondo che se ne frega della loro sensibilità e del loro profumo di stella». Ecco: così è Carmen. Carmen che guarda verso il cielo, vede Yuri Gagarin, «l’uomo più alto del mondo» (in verità il primo uomo ad aver viaggiato nello spazio, nel 1961), di cui babbo Romeo una sera le ha letto le imprese, e ci dialoga come farebbe con un amico. Carmen che proietta all’esterno la sua interiorità e la rende vera, facendo risplendere di grazia tutto ciò che la circonda: oggetti, piante, prati, animali, persino esseri umani. La prosa di Capitta ha il raro dono di aderire perfettamente agli occhi e alla voce della protagonista, e di ammantarne occhi e voce del lettore. Il quale Carmen non può che sentirla lì al suo fianco, vicina, lungo la strada che conduce al giardino che non esiste.

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